Investimenti: Buyback e dividendi per mantenere in attivo il portafoglio

Per i prossimi tre meeting della Federal Reserve i mercati si attendono consecutivamente tre aumenti del costo del denaro, ciascuno di 50 punti base, ovvero un’accelerazione del ciclo di rialzi rispetto a quanto previsto. Si consideri che la FED, a differenza di altre banche centrali, persegue due obiettivi di politica monetaria: da un lato la stabilità dei prezzi, mentre dall’altro la piena occupazione. Per quanto riguarda quest’ultima, negli USA il mercato del lavoro presenta un tasso di disoccupazione vicino a minimi storici e i salari sono in aumento.

Pertanto, adesso la Banca centrale si sta concentrando sul controllo dell’inflazione attraverso il cosiddetto processo di tightening, che mira a frenare la crescita dei prezzi aumentando i costi di finanziamento sia per i consumatori privati che per le aziende.

In questo scenario, ecco di seguito la view di Giacomo Calef, Country manager di NS Partners

Stando ai dati forniti da Freddie Mac, di recente la media del tasso trentennale sui mutui ha superato il 5% per la prima volta dal 2011, in significativo rialzo dal 3,22% di inizio anno. Inoltre, a marzo i prezzi delle case negli Stati Uniti hanno raggiunto un record e per i consumatori diventa sempre più difficile permettersi un nuovo acquisto/investimento. Tuttavia, tornando al grafico, si può osservare che le condizioni finanziarie siano comunque ancora ragionevoli rispetto ai passati eventi di stress finanziario, poichè siamo ancora lontani dalle situazioni di recessione che si sono verificate nel 2001, nel 2008-2009 e nel 2020. Secondo i principali economisti nel 2022 non dovrebbe verificarsi neanche la cosiddetta stagflazione, ovvero un periodo di stagnazione economica accompagnata da forti pressioni inflazionistiche.

Il Fondo Monetario Internazionale, tra gli altri, ha effettuato dei tagli delle previsioni di crescita per quest’anno che, seppur significativi, segnalano solo un rallentamento. Negli USA il PIL dovrebbe crescere del +3,7% quest’anno, rispetto al +5,7% registrato del 2022. Per l’Europa, invece, il taglio della stima è di 1,1 punti percentuali rispetto alla scorsa previsione, pari al +2,8%. A livello di portafoglio, pertanto, riteniamo opportuno mantenere un’esposizione azionaria solo sulle aziende di qualità. Oltre al basso indebitamento, su cui peserebbero in misura inferiore i maggiori di costi dei finanziamenti, il focus della selezione dovrebbe andare su player che generano consistenti flussi di cassa, poiché avrebbero liquidità sufficiente per remunerare gli investitori, anche in un clima incerto, con buyback e dividendi.

Petrolio: le potenziali alternative alla russia

La Russia, che per la sua rilevanza è uno dei membri più importanti dell’OPEC+, è uno dei maggiori esportatori mondiali di petrolio, fornendo ogni giorno circa 4 milioni di barili. Tuttavia, dall’inizio del conflitto il petrolio russo non è più oggetto di scambi commerciali e pertanto urge la necessità di cercare delle alternative.

Lo scorso mese sono state rilasciate le riserve della U.S. Strategic Petroleum Reserve (SPR), con il Presidente Biden che ha annunciato un milione di barili al giorno per i prossimi sei mesi. La riserva ad oggi conta 586 milioni di barili e già lo scorso Novembre Washington aveva promesso di rilasciarne almeno 50 mln per far fronte alla forte domanda post-covid. Anche i 31 membri dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, di cui gli USA fanno parte, allo stesso modo hanno dichiarato il proprio impegno ad utilizzare le proprie riserve.

Tuttavia, neanche quest’ultime potrebbero essere sufficienti. Secondo alcuni ricercatori con una risposta globale nel 2022 si dovrebbe sostituire al massimo il 93% di petrolio russo. Le fonti, principalmente, potrebbero essere due. La prima riguarda l’OPEC+, di cui l’Arabia Saudita fa da capofila. Si osservi che però molti membri non hanno ancora ripristinato i livelli di produzione pre-covid e, addirittura, non riescono a stare al passo con i target attuali. A marzo, infatti, l’OPEC+ ha mancato la produzione di 1,45 mbpd. Per Maggio, inoltre, l’incremento della produzione dovrebbe passare da 400.000 barili al giorno ad un modesto 432.000 mbpd, un valore che resta inferiore anche al rilascio di un milione al giorno della SPR prima menzionato. La seconda possibile soluzione attiene, invece, al ritorno dell’Iran, che al momento esporta una quantità ridotta di petrolio a causa delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti per il nucleare. Prima della situazione attuale, ovvero nel 2015, l’Iran produceva ben 3,8 milioni di barili al giorno, ma per tornare a quei livelli ci vorrà del tempo, poiché negli ultimi anni gli investimenti sono stati fortemente ridimensionati a causa delle sanzioni.

Di recente, infatti, l’Iran ha annunciato di voler incrementare la spesa di $90 miliardi di dollari nel prossimo decennio, in modo da raggiungere una capacità di 5 mbpd. Secondo gli economisti il rialzo dei prezzi del petrolio avrà un impatto significativo sull’economia, pertanto gli investimenti nell’energia tradizionale, ancora oggi, sono estremamente importanti. La FED, di recente, ha stimato che ogni 10$ dollari di rialzo costerebbero lo 0,1% sul PIL.

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