Mercati, Eurozona: ecco cosa occorre per tornare a correre

Parliamo di Europa. Così come all’indomani dell’attacco alle torri gemelle il mondo dell’economia ha subìto un profondo cambiamento, crediamo che l’invasione della Russia in Ucraina sia in grado di cambiare profondamente il corso economico dell’Europa.

Forse per la prima volta dalla seconda guerra mondiale l’Europa sta vivendo una situazione di paura mista all’incertezza che il conflitto possa estendersi a tutto il continente, minando alla radice le nostre certezze. L’Europa si è scoperta di colpo debole sia sotto il profilo politico (non sembra infatti in grado di risolvere il conflitto), sia sotto quello economico, visto che un paese (la Russia) la cui potenza industriale e il PIL sono un infinitesimo di quello Europeo, tiene da oltre due mesi 27 paesi sotto scacco.

Ci sentiamo di poter affermare che la globalizzazione che ha sostenuto la crescita economica mondiale degli ultimi decenni è vicina alla fine. Il che non vuol dire che i governi delle prime quattro economie Europee (Italia, Germania, Francia e Spagna) non possano concordare iniziative necessarie per cercare di risolvere le drammatiche necessità economiche dalla guerra. Questi sono chiamati quanto prima a consolidare una concreta e stretta cooperazione politica ed economica: di fronte alle minacce di Putin la UE deve unire le forze e non disperderle.

Il rischio è che le divisioni tra paesi sovranisti ed europeisti possa portare alla rapida frantumazione dell’Unione Europea, perché questa volta il whatever it takes non funzionerebbe.

Guardiamo i dati, che dicono che l’Europa potrebbe entrare ancora una volta in recessione: le economie si trovano di fronte ad una crisi energetica e inflazionistica, i debiti crescono, la disoccupazione aumenta e molte imprese sono a rischio fallimento. In questa situazione il ritorno del fiscal compact (come più volte invocato dai falchi dell’Unione) affonderebbero definitivamente l’economia.

L’Europa è storicamente di fronte a un bivio

La sopravvivenza passa attraverso una cambio di direzione di marcia e di velocità a 180 gradi. Cosa serve allora alla rinnovata Europa politica ed economica? Sicuramente la definizione di obiettivi strategici, dei mezzi e dei percorsi per ottenerli, prendendo atto che le culture politiche e gli interessi economici dei 27 Paesi dell’Unione sono troppo diverse per affrontare le sfide poste dal confronto con la Russia e con le due superpotenze USA e Cina. Ma ci vuole tempo

Molto più nel breve, occorre invece definire un compromesso che metta fine alla guerra in Ucraina. Il cambiamento dei rapporti di forza politici ed economici mondiali imporrà anche come inderogabili alcuni interventi. Tra questi ci sentiamo di suggerirne alcuni:

  • la BCE dovrebbe modificare il suo target di inflazione al 2%, ormai irrealistico;
  • nonostante la crescita dei prezzi la BCE non dovrebbe attuare manovre restrittive, perché l’inflazione è quasi interamente da costi e non da domanda. Forti strette monetarie strozzerebbero infatti la fragile ripresa economica, riducendo solo di poco la crescita dei prezzi;
  • i tassi di interesse reale dovrebbero rimanere negativi il più  a lungo possibile, favorendo l’investimento privato nell’economia reale;
  • la BCE dovrebbe assorbire il debito degli stati conseguente all’aumento dei prezzi dell’energia, senza la paura di aumentare ulteriormente il suo bilancio;
  • la BCE dovrebbe decidere di cancellare i debiti degli stati presenti nel suo bilancio, come proponeva l’ex Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e come tra l’altro propongono 100 autorevoli economisti in Europa e in Italia, in modo da ridare “fiato fiscale” ai governi e agevolare così gli investimenti pubblici, indispensabili per la ripresa. La cancellazione dei titoli di debito acquistati dalla BCE (un quarto circa dei debiti complessivi degli stati dell’eurozona) non comporterebbe nessun danno per il settore privato e neppure un trasferimento di risorse tra gli stati;
  • la Commissione dovrebbe promuovere programmi di investimento comuni per l’autonomia energetica da fonti rinnovabili. Le risorse in campo (pubbliche e private) potrebbero essere superiori a 1.000 miliardi di euro;
  • la Commissione dovrebbe deliberare un nuovo fondo fiscale comune e permanente basato su una filosofia analoga a quella del Next Generation EU, di ammontare pari ad almeno il 10% del PIL (circa 1.700 miliardi di euro);
  • cancellazione del fiscal compact, adottando invece la golden rule, ovvero permettere ai singoli stati di investire per la crescita anche ricorrendo a deficit.

Qualcosa si sta muovendo in questa direzione e vogliamo essere ottimisti. Guardiamo quindi con fiducia agli investimenti in Europa che, lo ricordiamo è all’avanguardia nel mondo in tutti i settori manifatturieri e industriali.

L’asset allocation

Largo quindi agli investimenti nei titoli di quelle società interessate dagli investimenti del NGeu (che magari verrà pure ampliato), continuando a privilegiare in particolare quelle imprese che operano nel settore della digitalizzazione di prodotto e di processo, della cyber security, della trasmissione di dati su rete fissa e/o mobile. E tutte le imprese la cui attività riguarda la rivoluzione verde, da quelle locali a quelli nazionali, senza dimenticare tutte quelle che operano nel settore delle infrastrutture e della cura alla persona.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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