Mercati, ondata di vendite: due punti di vista

“Scorgiamo dei segnali che indicano come molti investitori stiano guardando con altri occhi l’attuale ondata di vendita che si è abbattuta sui mercati. Segnali che potrebbero mettere in discussione il modo in cui bilanciamo i rischi di mercato”. Ad affermarlo è
Erik Knutzen, Cio Multi-Asset Class di Neuberger Berman, che di seguito illustra la view nel dettaglio.

“Quanto manca all’atterraggio?”, ci chiedevamo due settimane fa mentre l’indice azionario S&P 500 registrava la sesta settimana consecutiva di ribassi e gli investitori speravano di aver finalmente toccato il fondo.
La nostra conclusione era che, a fronte del rallentamento inflazionistico, mantenere un approccio cauto, con una predilezione per i titoli azionari difensivi, di qualità e a minor beta, sarebbe stato ancora prudente. Lo S&P 500 avrebbe in seguito registrato la settima settimana di perdite.

Quanto manca, quindi, all’atterraggio?
Questa settimana presenteremo alcune delle dinamiche di mercato osservate nelle ultime settimane dal team dedicato agli investimenti Multi Asset di Neuberger Berman. Osservazioni che indicano come, nel corso delle ultime due settimane, circa, molti investitori abbiano rivisto la loro risposta a questa domanda, mettendo potenzialmente in discussione il modo in cui cerchiamo di bilanciare i rischi di mercato.

Rendimenti reali

Alla fine dello scorso anno, sostenevamo che “il livello dei tassi reali sarà il principale fattore in grado di influenzare la performance delle diverse asset class”, e che un loro rialzo avrebbe avuto “conseguenze significative”.
Da allora il rendimento reale del decennale USA è cresciuto rapidamente, passando dal -1,00% a un massimo pari al +0,35% il 10 maggio. I mercati azionari, come era prevedibile, sono crollati.
Ma guardando attentamente, le nostre previsioni risultano ancor più precise.
Osservando il rapporto tra il rendimento reale del decennale USA e il multiplo prezzo/utili prospettico dell’indice S&P 500 dal 2018 a oggi, un rendimento reale del -1,00% implica un multiplo pari a 23. Si tratta a grandi linee del valore assunto da questo multiplo alla fine dello scorso anno. Secondo questa relazione, un rendimento reale dello 0,35% implica un multiplo pari a 17, ovvero, approssimativamente, il livello a cui era scesa la valutazione dell’indice verso, appunto, la metà di maggio.
In altre parole, all’inizio dell’anno, sapendo che a metà maggio i tassi reali sarebbero stati pari allo 0,35%, sarebbe stato possibile ricorrere a questa relazione storica per predire il rapporto prezzo/utili dello S&P 500. Secondo questo modello, né l’invasione russa dell’Ucraina, né i lockdown in Cina, né l’impennata dell’inflazione hanno in alcun modo condizionato gli investitori nel prezzare l’inasprimento delle condizioni finanziarie. Si tratterebbe piuttosto dell’effetto delle scelte di politica monetaria messe ora in campo dalle banche centrali per ridurre gli stimoli impiegati per contrastare il COVID. Questo ha portato al crollo simultaneo di azioni e obbligazioni che abbiamo osservato nell’ultimo periodo.
I tassi reali e gli altri indicatori utilizzati per misurare le condizioni finanziarie a livello aggregato, come lo U.S. Financial Conditions Index di Goldman Sachs, sono ormai tornati ai propri livelli pre-pandemici. Pertanto, se la correzione dei mercati rispetto alle politiche accomodanti adottate in epoca pandemica è già avvenuta, oppure è stata in gran parte prezzata in previsione delle misure che verranno adottate dalle banche centrali, e se il calo dei mercati del 2022 dipende esclusivamente dall’inasprimento delle condizioni finanziarie, è possibile che questo scenario lasci pensare più ad un rialzo che ad un ulteriore ribasso del mercato azionario?

Utili

Può darsi. Ma se fosse solo il rapporto prezzo/utili ad aver toccato il proprio picco negativo, e il denominatore, cioè gli utili, stesse per crollare?
Sarebbe l’opposto di ciò che è avvenuto nel corso del 2020 e del 2021. In seguito allo scoppio della pandemia, gli utili sono calati, eppure i mercati azionari hanno ben presto iniziato a salire vertiginosamente e, nel corso dei due anni successivi, gli utili sono cresciuti fino a giustificare un livello elevato delle valutazioni. Dall’inizio del 2022 a oggi, invece, le valutazioni sono crollate; è possibile dunque che gli utili stiano per contrarsi fino a giustificare questo crollo?
Ci sono, a nostro avviso, dei segnali che indicano come gli investitori stiano iniziando a pensarla proprio così. Sembra infatti che gli investitori non si stiano più limitando a rivalutare la crescita positiva dei profitti nel corso del prossimo anno, ma che stiano ormai mettendo in discussione gli outlook sugli utili.
Nei nove giorni che hanno preceduto il minimo toccato di recente dallo S&P 500, ad esempio, i rendimenti reali sono calati, mentre i prezzi delle obbligazioni sono cresciuti, ribaltando la correlazione positiva tra il prezzo delle azioni e quello delle obbligazioni osservata finora nel corso di quest’anno. La settima settimana consecutiva di perdite registrata dall’indice S&P 500, nel corso della quale l’indice ha ceduto in un singolo giorno il 4%, sembra essere dipesa non dai toni aggressivi della Fed o dalle notizie sui tassi, bensì dagli obiettivi mancati e dalle revisioni al ribasso di utili, margini e vendite registrati non solo dalle società tecnologiche a duration più elevata, ma anche da alcuni giganti di elevata qualità nei settori dei beni di consumo e della vendita al dettaglio.
Se la crescita degli utili è destinata a crollare, ciò che ne risulta è un nuovo mix tra rischi al rialzo e al ribasso. Ipotizziamo che gli utili dello S&P 500 stimati per i prossimi 12 mesi calino passando dagli attuali 245 dollari per azione, ad esempio, a 210 dollari. Ipotizziamo poi che il rapporto prezzo/utili rimanga invariato. L’indice, a quel punto, lascerebbe sul terreno un altro 10%.

 

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