Asset allocation: essere cauti non significa star fuori dall’azionario

I mercati non hanno preso bene gli annunciati aumenti dei tassi di interesse, nonostante fossero stati ampiamente avvisati. Il punto è che le banche centrali rivedono in modo peggiorativo quasi ad ogni meeting le stime di crescita economica e l’inflazione (sia quella USA che Europea). E questo, a mio giudizio, ha diverse implicazioni che comportano un aumento del premio per il rischio.

Tra queste: la costante revisione al ribasso delle stime degli utili societari da parte degli analisti e la credibilità nell’azione delle banche centrali. L’aumento del premio per il rischio comporta un maggior rendimento richiesto che, a parità di condizioni, può essere soddisfatto solo a prezzi più bassi. Ma le condizioni non sono pari, perché secondo il nostro modello la flessione prevista degli utili societari delle società USA (S&P 500) nel 2023 è pari a circa il 13% rispetto al 2022 (dopo una crescita del 5% nel 2022 rispetto al 2021). Ai livelli attuali di indice e con un PIL atteso nel 2023 in crescita dello 0,3% (più basso delle stime dalle FED), significa prevedere un’ulteriore flessione dell’indice compresa tra il 5% e il 10% dai livelli attuali. Ma tutto questo i mercati lo conoscono e quindi tendono, almeno in teoria come noto, ad incorporare nei prezzi le aspettative negative. Ma se i mercati conoscono le politiche monetarie delle banche centrali e tendono a scontare in anticipo le informazioni, allora significa che potremmo non essere troppo distanti da una fase di ripresa delle quotazioni. Ovviamente a meno di ulteriori flessioni nelle stime del PIL e/o dell’inflazione. Certo, nelle oscillazioni giornaliere è possibile che i prezzi scendano o salgano in modo violento a causa della forte volatilità. La molla che potrebbe far scattare la ripresa potrebbe essere la fine della guerra tra Russia ed Ucraina (gli effetti a medio termine sarebbero comunque tutti da valutare).

E veniamo alle banche centrali. Nel corso del tempo queste sono state chiamate ad aggiustare problemi che la politica monetaria non può risolvere. Ci hanno messo una pezza, questo è vero, ma il problema è prima di tutto politico. Se guardiamo all’Europa per esempio, le attese degli investitori riguardano i dettagli dell’annunciato fondo salvaspread (che la Lagarde ha evitato di fornire nell’ultimo meeting), la revisione del patto di stabilità e crescita (nessuno sa nulla), l’emissione di Eurobond e la garanzia unica Europea sui depositi bancari (qui buio totale) etc. Siccome di stupido nella Commissione Europea non c’è nessuno, i mercati si chiedono per quale motivo non vengono immediatamente rese operative. E si danno anche una risposta che nella maggioranza dei casi non è positiva, ma nell’attesa vendono.

Questo non vuol dire stare fuori dai mercati azionari, ma significa che occorre essere cauti negli investimenti. Secondo il nostro modello, al momento conviene mantenere posizioni su titoli azionari di qualità più elevata, con un beta minore di 1 e orientati alla generazione di cassa e reddito. Tra i temi che vediamo con maggiore favore ci sono le società ESG compliant: le spinte per rendere istituzionali i fattori ESG tendono infatti ad aumentare. Due sono le aree in cui riteniamo si concentreranno gli investimenti: le tematiche specificamente ESG e l’implementazione di regolamentazioni e good practices. Poi ci sono gli investimenti del NGeu che dovrebbero dare un spinta alla crescita di medio termine.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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