Asset allocation: ecco su cosa puntare in questa fase

Secondo Powell, è possibile avere un forte mercato del lavoro mentre si riduce l’inflazione. Ha sicuramente ragione, a patto però che l’aumento dei tassi per frenare l’inflazione non riduca, o la faccia in modo poco significativo, la crescita economica e che i prezzi una volta saliti non inneschino una rincorsa salariale. La riduzione dell’inflazione non significa infatti una riduzione dei prezzi di beni o servizi (quella è la deflazione), ma significa che i prezzi crescono di meno: portare l’inflazione al 2% significa che dopo l’8,6% i prezzi crescono del 2% (totale 10,6%). I prezzi crescenti, una volta cresciuti, non si riducono e il potere d’acquisto dei salari rimane permanentemente più basso. Ovviamente a patto che questi non aumentino.

Solo in un caso i consumi possono rimanere invariati in presenza di una flessione del potere d’acquisto dei salari: un aumento dell’indebitamento. Le famiglie americane sono tuttavia già pesantemente indebitate, tanto che mediamente negli ultimi tre anni il 70% circa della variazione del PIL è dovuta proprio al debito. Se queste condizioni non si verificano, la perdita del potere d’acquisto dei salari porta inevitabilmente a contrarre i consumi. Le aziende per salvaguardare i profitti di fronte ad una minore domanda, riducono il costo del lavoro. E la disoccupazione aumenta. Se nel frattempo il debito della famiglie è pure aumentato, diventa difficile prevedere che di fronte ad un aumento della disoccupazione tutti i debiti possano essere pagati. E qui la situazione potrebbe diventare poi difficile da gestire.

Non cambio quindi opinione sulla recessione che si avvicina nel 2023, e mi sembra che anche Powell cominci ad ammetterlo. Certo l’effetto annuncio è importante per fermare la crescita dei prezzi e sicuramente Powell fa leva anche su questo. Se l’economia dovesse effettivamente entrare in una recessione importante e quindi l’inflazione essere causa della sua stessa riduzione, rimane possibile che nel 2023 i tassi scendano piuttosto che salire.

Secondo il nostro modello, in autunno dovremmo trovarci con i Fed Funds in area neutrale intorno al 2,5%, ma con concrete possibilità di entrata in territorio restrittivo già a fine anno se, come ci aspettiamo, l’inflazione non dovesse mostrare decisi segnali di flessione. Nel 2023 il nostro modello prevede come punto di arrivo i Fed Funds al 3,7%. Questo significa un PIL in crescita del 2,3% nel 2022 (in gran parte frutto dell’effetto di trascinamento del 2021), ma una sostanziale stabilità nel 2023 (+0,2%). A quel punto l’inflazione dovrebbe stazionare nell’intorno del 3-4%. Powell ha scelto il rallentamento della crescita del PIL e l’aumento della disoccupazione, pur di portare l’inflazione vicino all’obiettivo. Non dimentichiamo che giocano a sfavore della crescita economica anche gli effetti della riduzione del bilancio, che ci aspettiamo proceda ad una velocità doppia rispetto a quella iniziata nel 2017.

E gli investimenti?

La cosa fondamentale è costruire il portafoglio avendo ben chiari i propri obiettivi, sia in termini di rischio/rendimento sia in termini temporali, in modo da non subire il mercato in modo pro-ciclico. Chiarito questo, riteniamo che una buona diversificazione del rischio possa mettere al riparo il portafoglio di lungo periodo da shock esterni.

In una fase di rialzo dei tassi progressiva come quella che ci attende, specialmente se il livello dei tassi di interesse reali è rimasto negativo a lungo, è opportuno prediligere nel portafoglio titoli di Stato con una bassa duration o con elevato flusso cedolare, allungando opportunisticamente (per via dell’appiattimento previsto della curva) la duration marginale in momenti di elevata volatilità. Come più volte abbiamo messo in luce, non sono da sottovalutare gli inflation linked: non conosciamo il livello di inflazione a fine anno, ma sappiamo con certezza che sarà superiore a quello pre-covid.

Chiaro quindi che in un’ottica di medio termine, i titoli inflation linked possono garantire una buona protezione del capitale, soprattutto nel momento in cui le banche centrali non sembrano centrare l’obiettivo di inflazione.

Sul fronte azionario, in questa fase riteniamo corretta una strategia bottom up che vada a privilegiare i titoli di quelle società che producono cassa, hanno una redditività mediamente superiore a quella media del proprio settore di riferimento e sono leader nel mercato nel quale operano e sono in grado di pagare un dividendo in modo sostenibile. Da non sottovalutare inoltre le assets class value, quali per esempio oro e immobili.

A cura di Antonio Tognoli, Head of Research di Integrae Sim

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