Asset allocation: ecco dove trovare opportunità in uno scenario di stagflazione

Il 2022 è stato un anno difficile per l’azionario. Il conflitto in Ucraina ha provocato un’impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prime, un crollo del mercato azionario globale e un’elevata volatilità. La recessione appare probabile, in Europa e forse anche negli Stati Uniti. Aumenta anche il rischio di un periodo prolungato di “stagflazione”.

“Che l’esito finale sia di recessione o stagflazione, le implicazioni per gli utili aziendali sono negative. È probabile che i margini si riducano nei prossimi mesi. In questo contesto, la nostra attenzione è rivolta al “pricing power”, ovvero alla capacità delle aziende di stabilire i prezzi”. Ad affermarlo è Alex Tedder, Head and CIO of Global and US Equities di Schroders, che di seguito spiega nei particolari la view.

I mercati hanno subito una correzione generale

Il Nasdaq – con la sua forte componente tech – a maggio è entrato in un “mercato orso” (un calo del 20% rispetto al picco più recente). L’S&P500 e lo Stoxx600 Europe lo hanno seguito a giugno. Dopo anni di sottoperformance, l’azionario britannico ha resistito relativamente bene, con un calo del 12% (dividendi inclusi). L’alta percentuale di società nel settore dell’energia e delle materie prime nell’indice britannico ha sostenuto il FTSE, così come l’esposizione a grandi società farmaceutiche come AstraZeneca e GlaxoSmithKline.

La storia mostra che la durata media di un mercato orso è di 290 giorni. Negli ultimi 140 anni, i mercati sono scesi in media del 37% in tali fasi, il che suggerisce un potenziale ulteriore ribasso su entrambe le sponde dell’Atlantico. Come sempre nelle fasi ribassiste, ci si deve aspettare una volatilità elevata, con probabili rally in alcuni momenti, nonché drawdown sostanziali. È probabile che ciò sarà particolarmente evidente attorno alla stagione degli utili del secondo trimestre, che ha inizio a metà luglio negli USA.

Gli eventi recenti hanno rafforzato i trend di mercato esistenti

Al di là del comparto energetico, tutti gli altri principali settori hanno generato rendimenti negativi da inizio anno. Chi ha beneficiato della pandemia, nei settori della tecnologia e dei consumi, sono stati particolarmente colpiti. L’aumento dei prezzi di elettricità, riscaldamento, benzina e generi alimentari ha costretto i consumatori a contenere le spese, soprattutto per gli articoli non essenziali della vita quotidiana.

È da notare che diversi rivenditori al dettaglio negli Stati Uniti, come Walmart, Target e persino Amazon, abbiano registrato un significativo rallentamento della crescita dei ricavi e un rapido accumulo di scorte di prodotti invenduti. Anche in Europa il quadro è simile.

Guardando agli stili, quest’anno i titoli value hanno registrato le migliori performance. L’ambito considerato value comprende società del settore energetico e dei materiali, ma anche molte banche e compagnie assicurative, che hanno beneficiato dell’impatto positivo dell’aumento dei tassi sulle loro attività fruttifere, come i prestiti e portafogli obbligazionari. Per contro, la performance dei titoli growth è stata debole, proseguendo il trend iniziato a fine 2021, quando la Fed ha iniziato a segnalare un rialzo dei tassi in risposta alle pressioni inflazionistiche.

Sebbene la sottoperformance del growth non sia sorprendente, è degno di nota il fatto che anche il fattore “qualità”, che tipicamente include società con utili più elevati e affidabili e bassi livelli di indebitamento, abbia registrato una marcata sottoperformance. Sebbene circa il 40% dei titoli di qualità sia costituito da società tecnologiche, gran parte di queste sono aziende consolidate, generatrici di flussi di cassa e con bilanci solidi, come Microsoft, Google, Adobe, Intuit e Texas Instruments. La parte restante dell’universo titoli di qualità è costituita da grandi società difensive come Johnson & Johnson, Eli Lilly, Visa e Coca-Cola. Data l’entità del ribasso in questo ambito (-20% in media), riteniamo probabile un recupero del settore nei prossimi 6-12 mesi.

Cosa c’è di insolito nell’attuale rapporto tra recessione e inflazione?

Molti osservatori paragonano l’attuale contesto a quello degli anni ’70, quando l’inflazione era dilagante e la spirale costi-salari-prezzi si era consolidata prima dell’azione aggressiva delle banche centrali. Tuttavia questa volta la disoccupazione è a livelli estremamente bassi e, di fatto, tendente al ribasso.

Bisogna tornare al 1951 per trovare un periodo in cui l’inflazione negli Stati Uniti fosse superiore all’8% e il tasso di disoccupazione inferiore al 4%. In realtà, dal 1948 ci sono stati solo 15 mesi in cui si è verificata una tale polarizzazione tra inflazione e disoccupazione. Ogni volta che ciò è accaduto, nel giro di 18 mesi si è verificata una recessione, seguita da un periodo di relativa stabilità e crescita. Sulla base di questa statistica, sembra probabile che si verifichi una recessione, ma il confronto suggerisce che potrebbe anche verificarsi una normalizzazione relativamente rapida dell’economia globale.

Ci auguriamo che questo scenario si realizzi. C’è una linea sottile tra la gestione dell’inflazione (attraverso i tassi d’interesse) e il mantenimento della fiducia e della crescita, e le banche centrali potrebbero ancora fallire in questa impresa. Il nostro scenario di base prevede una risposta positiva da parte delle banche centrali, ma è chiaro che c’è il rischio che lo slancio dell’inflazione si riveli inarrestabile. Una tempesta perfetta di questo tipo sarebbe certamente una sfida notevole sia per le azioni che per le obbligazioni.

Una strategia per tempi incerti

La forza dei prezzi delle materie prime sta innescando uno straordinario aumento degli utili e dei flussi di cassa per le società del settore energetico e minerario. In questo contesto, ha certamente senso mantenere un’esposizione a questi settori per il momento.

Tuttavia, sia per i consumatori che per le aziende, la combinazione di inflazione dilagante e aumento dei tassi di interesse sta già avendo un impatto negativo. La “distruzione della domanda” si sta manifestando in molti settori, con conseguenze sugli utili.

La nostra attenzione rimane quindi rivolta al “pricing power”: la capacità di trasferire gli aumenti dei costi senza compromettere la domanda. Ci sono settori in cui il potere di determinazione dei prezzi è generalmente molto forte: il settore sanitario, ad esempio, è guidato dall’innovazione, e molte società hanno uno o più prodotti unici che danno loro la possibilità di stabilire i prezzi e far crescere gli utili.

La tecnologia, in particolare l’ambito dei software, ma sempre più spesso anche la produzione di semiconduttori all’avanguardia, è un altro settore in cui i singoli franchise sono riservati e ricercati, consentendo a queste aziende di prosperare in tempi difficili. Pochissime persone vorranno smettere di usare Microsoft Office: anzi, in un contesto di recessione potrebbero volerlo usare più che mai.

Un’ultima osservazione

Per ragioni comprensibili, il mercato oggi è incredibilmente concentrato sul breve termine. Tuttavia, sembra aver perso di vista i trend di fondo che probabilmente domineranno le nostre vite per molti anni a venire. Il cambiamento climatico è una realtà, eppure negli ultimi mesi le società legate al clima sono andate relativamente male.

La digitalizzazione è una realtà che sta accelerando enormemente dietro le quinte, eppure la tecnologia è stata una delle aree più deboli negli ultimi 12 mesi. I progressi nelle biotecnologie proseguono a ritmo sostenuto, ma anche in questo caso il settore è stato fortemente ridimensionato dopo la pandemia. Tuttavia, riteniamo che stiano emergendo grandi opportunità per gli investitori che hanno la capacità e la pazienza di guardare oltre le attuali turbolenze. Riteniamo che investire in queste aree di crescita strutturale ripagherà nel lungo periodo.

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