Mercati come strumento di politica monetaria

È stato osservato che la recessione che ci prepariamo ad attraversare sarà diversa da quasi tutte le altre perché è stata programmata a freddo dalle banche centrali e sarà da queste governata meglio rispetto alle recessioni che sono capitate per eventi esogeni.

Non abbiamo molti precedenti per verificare questa idea. L’ultimo caso di rilevanza globale di recessione programmata risale ai tempi di Paul Volcker. L’esperienza fu coronata da successo, ma non dobbiamo dimenticare che quella di Volcker fu un’opera di pronto soccorso che si limitò a rimettere in piedi il paziente. Per guarire sul serio, fu necessario adottare per i quarant’anni successivi uno stile di vita più sano di quello che aveva creato l’inflazione.

Un altro caso di recessione programmata, meno felice, fu quello che la Germania impose nel decennio scorso ai Paesi mediterranei. Quasi nessuno, oggi, considera ottimale quell’esperienza.

Come andrà questa volta?

Probabilmente un po’ meno bene rispetto all’esperienza dei primi anni Ottanta ma meglio, forse molto meglio, rispetto a quella dell’austerità.

Il successo di un’impresa di questo tipo dipende molto da come è disegnata. In questo caso il tentativo della Fed è quello di dare una spallata all’inflazione senza danneggiare troppo l’economia reale. La Germania, nel decennio scorso, non ebbe certo questa sensibilità.

Bene per l’economia reale, quindi, che avrà ovviamente da soffrire ma non in maniera insensata. Meno bene per gli asset finanziari (in particolare crediti e borse) perché alla base del progetto della Fed c’è l’idea di farli soffrire di più in modo da fare soffrire meno l’economia reale.

Il sacrificio degli asset finanziari, reso evidente da un atteggiamento freddo (se non ostile) della Fed nei confronti dei mercati, serve a costruire una psicologia di recessione percepita come già severa quando là fuori, nel mondo reale, le cose non stanno ancora andando così male.

Per capire meglio, facciamo un passo indietro e torniamo alla fine dell’anno scorso, quando le stime dei governi e degli economisti sul 2022 venivano corrette al rialzo fino a un livello, nel caso europeo e in particolare tedesco, addirittura superiore a quello del 2021.

Pensandoci oggi, fa impressione il livello di adrenalina che scorreva in quel momento nel sangue delle imprese e dei mercati finanziari. Le imprese, immaginando un boom dei consumi, cercavano in tutti i modi di gonfiare le scorte. Immaginando poi una crescita duratura, le imprese avevano messo a budget per quest’anno molte assunzioni ed erano pronte a pagare qualsiasi prezzo per strappare alla concorrenza le poche risorse umane disponibili sul mercato.

I mercati, dal canto loro, mantenevano una fede incrollabile nel comprare su ribasso sempre e comunque. La stragrande maggioranza degli analisti prevedeva per quest’anno nuovi massimi su borse e materie prime.

In questo contesto palesemente surriscaldato la Fed, una volta constatato che l’inflazione era ormai fuori controllo, ha dovuto cercare di invertire velocemente e drasticamente di segno la psicologia collettiva, portandola da straordinariamente sovraeccitata a depressa in poche settimane. Per farlo ha usato i toni più duri, ha evocato Volcker, ha anticipato gli aumenti dei tassi, li ha spettacolarizzati con la sorpresa dei 75 punti base, ha ostentato indifferenza di fronte agli affanni delle borse.

All’autoflagellazione dei mercati, convinti ormai di vivere in una crisi profonda, non ha corrisposto finora una situazione così negativa dell’economia reale. Casa e auto, i classici settori ciclici, sono in rallentamento, certo, ma i danni non sono ancora rilevanti. Il manifatturiero è debole, anche perché deve smaltire l’eccesso di scorte, ma i servizi, che sono la parte dominante dell’economia, sono generalmente in crescita e sono anzi in pieno boom dove c’è ancora domanda arretrata (come turismo o viaggi aerei).

Al di là del clamore e del baccano programmato della Fed, del resto, non si può dire che le politiche monetarie nel mondo siano particolarmente aggressive. I tassi reali sono ancora ampiamente negativi, il Quantitative tightening è ancora modesto e in giro per il mondo ci sono banche centrali, come quella giapponese, che stanno addirittura accelerando la creazione di liquidità. I governi, dal canto loro, continuano a spendere per il riarmo, per i sussidi per l’energia, per gli investimenti pubblici.

In compenso i pugni assestati nello stomaco dei mercati finanziari sono già riusciti a ridurre le aspettative di inflazione incorporate nei bond e hanno fatto scendere in misura significativa il prezzo delle materie prime, incluse quelle agricole. Quello che avviene sui mercati finanziari non è d’altra parte sfuggito alle imprese, che stanno facendosi più prudenti nel procurarsi scorte e nell’assumere personale.

Certo siamo solo agli inizi e c’è ancora parecchio da fare. Le imprese assumono meno, ma l’obiettivo della Fed è che riducano il personale. C’è ancora una coda rilevante di inflazione salariale, con le linee aeree americane, per fare un esempio, che hanno appena concesso aumenti del 15 per cento. Il gas europeo continua a rincarare.

È per questo che la pressione sui mercati finanziari andrà mantenuta e per questo, probabilmente, i bear market rally saranno particolarmente brevi. Nessun senso di compiacimento per un supposto raggiungimento dei minimi sarà consentito fino a quando il mercato del lavoro non darà qualche segno più chiaro di decongestionamento e fino a quando le imprese non cominceranno a ristrutturarsi diventando più produttive.

Oggi i mercati, per effetto della recessione percepita, ipotizzano un rallentamento significativo e veloce del ciclo economico, al punto da pensare a una Fed che dovrà iniziare a tagliare i tassi già la prossima primavera. È però possibile che le cose vadano più per le lunghe ovvero che la recessione parta e finisca un po’ più tardi di quanto i mercati stiano scontando.

Non vanno d’altra parte dimenticate le variabili esogene, in particolare la guerra e i possibili tagli ulteriori delle forniture di gas russo all’Europa. È bene non farsi troppe illusioni su un’attenuazione delle sanzioni in caso di cessate il fuoco in Ucraina. Quanto al taglio delle forniture di gas, gli effetti sarebbero al tempo stesso recessivi e inflazionistici.

In questo contesto, non più ostile ai bond governativi di più alta qualità, è prudente conservare ancora aspettative limitate sulle Borse e non farsi tentare troppo dalle fiammate di rialzo che accompagnano sempre i bear market. Cominciano a esserci occasioni interessanti, ma c’è ancora tempo per comprare.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e Il Nero)

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