Criptovalute, regolamentazione europea: pregi e criticità

Il legislatore europeo si sta muovendo a tutto campo per regolamentare qualunque cosa possa avere a che fare con le criptovalute e, più in generale, con tutti gli asset crittografici.

Gli aspetti che sembrano stare più a cuore agli organi legislativi dell’Unione, come riportato da Cryptonomist.ch, sono quelli legati alla trasparenza dei mercati, alla tutela di risparmiatori ed investitori e al contrasto dell’utilizzo di asset crittografici per riciclare proventi di attività illecite o per finanziare traffici illegali e terrorismo.

Per raggiungere quest’obiettivo si è messo mano alla realizzazione di un pacchetto di provvedimenti, nella forma di regolamenti europei.

L’approvazione del MiCAR in Europa

l più noto di tutti, probabilmente è il MiCAR (Market in Crypto Asset Regulation). Ma ce ne sono altri in dirittura d’arrivo, o già approvati che coprono le varie aree di interesse disciplinare, e che per ragioni diverse hanno fatto parlare di sè.

Tanto per fare una breve panoramica, il MiCAR non è ancora arrivato all’adozione e quindi non è ancora in vigore, ma proprio nei giorni scorsi è pervenuto ad un importante giro di boa, perché si è pervenuti ad un accordo su quelli che saranno i contenuti definitivi del regolamento, all’esito di una fase detta trilogue o trilogo, in cui sono coinvolti Parlamento, Consiglio e Commissione Europea.

Altro regolamento cruciale e ormai in dirittura d’arrivo è quello noto come TFR o Transfer of Funding Regulation: un regolamento mediante il quale si intendono implementare le misure antiriciclaggio nell’ambito delle operazioni di trasferimento di fondi e che mira a disciplinare anche i trasferimenti di fondi operati mediante criptovalute.

Di questo regolamento si è molto discusso perché ai trasferimenti in criptovalute mira ad applicare una serie di misure e di restrizioni decisamente deteriori rispetto a quelle previste per i trasferimenti in valuta fiat operate mediante intermediari bancari o finanziari.

Ma c’è un altro atto normativo, del quale fino ad oggi si è parlato poco, ma che ha una certa importanza nel puzzle della normativa europea in corso di adozione che investirà l’intero settore delle criptovalute e dei crypto asset.

Il regolamento che vede le crypto come semplici strumenti finanziari

Si tratta del regolamento n. 858/2022, che, superata la fase dell’adozione è entrato in vigore lo scorso 22 giugno.

Questo regolamento mira a introdurre un regime pilota sull’impiego delle tecnologie a registro distribuito, e a regolamentare quegli asset crittografici (espressamente esclusi dal campo di applicazione del MiCA) che hanno connotati e caratteristiche da farli qualificare, sul piano della normativa e dei principi europei, come prodotti o strumenti finanziari.

E questo anche apportando una serie di modifiche ai precedenti regolamenti (UE) n. 600/2014 e (UE) n. 909/2014 e alla direttiva 2014/65/UE.

Il focus di questo nuovo regolamento europeo è quello di fissare alcune regole nuove e di renderne applicabili altre già esistenti al caso in cui i crypto asset assumano caratteristiche sostanziali e funzioni tali che essi si comportino o vengano utilizzati come strumenti di natura propriamente finanziaria. Ciò, con la sola caratteristica aggiuntiva di essere movimentati, trasferiti o conservati mediante tecnologie a registro distribuito (DLT) e cioè, in pratica, mediante una blockchain.

La tokenizzazione di asset fisici e reali

Una delle ragioni per cui questo regolamento assume grande importanza è che esso di fatto va ad investire un fenomeno molto diffuso. Ossia, quello della cosiddetta tokenizzazione, ovvero di quella prassi che porta ad innestare attività che ordinariamente sarebbero di tipo tradizionale all’interno di infrastrutture basate su blockchain.

Questo, ad esempio, avviene quando si incorporano diritti o si cerca di incorporarne la rappresentazione digitale in un token crittografico in una blockchain.

Questo regolamento, quindi, si colloca in una posizione strategica. E cioè, nel punto di esatta convergenza tra il mondo del business convenzionale e quello del mondo crypto.

È notizia di questi giorni che proprio in Italia è stata eseguita la compravendita di azioni di una S.p.A. non quotata in borsa (la Dandelion S.p.A.) impiegando la blockchain Hyperledger e la piattaforma Fleap Digital Company, sviluppata dalla startup Sandbox.

Senza entrare nei dettagli di quest’ultima operazione, questo ci dice molto su come queste due dimensioni continuino ad avvicinarsi nonostante le diffidenze strutturali e i molti ostacoli normativi.

La regolamentazione della tecnologia blockchain

Passando ad esaminare i contenuti normativi di questo regolamento, esso si occupa innanzitutto della base tecnologica su cui si appoggiano operazioni, strumenti e attività.

Il modo in cui il legislatore ha scelto di occuparsi del tema è attraverso una forma di responsabilizzazione degli operatori in ordine alle caratteristiche di sicurezza dell’infrastruttura tecnologica, di programmi e apparati e dell’intero dispositivo.

Il regolamento europeo, cioè, pone a carico degli operatori, innanzitutto la piena responsabilità in ordine all’adeguatezza tecnologica di piattaforme, smart contract, etc. e poi una serie di obblighi in termini di trasparenza a favore degli utenti, in ordine alle caratteristiche e alle modalità di funzionamento.

Ma il fulcro del regolamento, tuttavia, sta nel fatto che, nella misura in cui ad asset e operazioni connesse debba essere riconosciuta una qualificazione di tipo finanziario, allora scatta per gli operatori l’obbligo di ottenere una specifica autorizzazione.

Le 3 tipologie differenti di registro distribuito trattate nella normativa

Il regolamento categorizza i sistemi di negoziazione mediante tecnologia a registro distribuito, essenzialmente in tre tipologie: sistemi multilaterali di negoziazione DLT (MTF DLT), sistemi di regolamento titoli DLT (SS DLT) e sistemi di negoziazione e regolamento DLT (TSS DLT).

Nelle intenzioni del legislatore europeo, il regime autorizzativo previsto per questo tipo di operatori dovrebbe in qualche modo ricalcare quello già previsto, sempre a livello europeo, per gli operatori finanziari classici. Cioè, quelli che svolgono analoghe attività, però, su asset di tipo tradizionale, non crittografico.

Il regolamento, tuttavia, è strutturato in modo tale da lasciare aperte numerose questioni interpretative ed applicative. 

Il che si potrebbe tradurre in una quantità di problemi, sul piano pratico.

Prima di tutto, si prevede una casistica di possibili esenzioni e deroghe all’obbligo di autorizzazione. Di tali esenzioni, però, non è agevole comprendere quando esattamente ricorrano le condizioni di applicazione.

Questa valutazione, quindi, viene lasciata alle autorità nazionali.

Simmetricamente, anche sul versante del rilascio delle specifiche autorizzazioni, la norma europea stabilisce, è vero, alcuni presupposti minimi. Tuttavia, così come per le esenzioni, lascia alle autorità nazionali il compito tanto di valutarne in concreto il rilascio o meno.

Il meccanismo così concepito, per di più all’interno di un regolamento (cioè, la fonte di diritto europeo autoesecutiva per definizione), può essere fonte di problemi.

Infatti, nella parte in cui non vengono stabiliti criteri chiari ed obiettivi cui le autorità nazionali devono attenersi, questo comporta di fatto l’attribuzione in capo a queste ultime di un potere ampiamente discrezionale.

Dal che discende, in primis, il rischio che le autorità di ciascuno Stato membro proceda al rilascio o conceda deroghe, sulla base di criteri diversi, più o meno rigorosi rispetto a quelli applicati da un altro Stato membro, anche a parità di presupposti e di condizioni. 

Manca un quadro normativo chiaro per tutti 

La mancanza di oggettivi parametri di riferimento, poi, implica il rischio di significative limitazioni in termini di capacità di sindacato e quindi di tutela giudiziale, da parte dei soggetti che si vedano opposti possibili dinieghi.

Altro tema: come si è visto, nel regolamento si è scelto di non definire uno standard tecnologico, in termini di caratteristiche minime, sulle infrastrutture DLT e soprattutto sugli smart contract.

Il legislatore europeo, invece, ha preferito scaricare le responsabilità sulla adeguatezza dell’infrastruttura tecnologica in capo agli operatori.

Si ricorderà che in Italia, proprio su questo tema specifico, il legislatore aveva fatto una scelta strutturalmente diversa: nel cosiddetto Decreto semplificazioni del 2018 (cioè il DL 135/2018) si ricorderà che è stato riconosciuto il valore legale di DLT e smart contract a condizione che venisse rispettato un certo standard tecnologico.

Standard tecnologico che avrebbe dovuto essere stabilito a livello generale con apposite linee guida dell’AgID.

Questo diverso tipo di scelta ha il pregio di imporre un quadro di condizioni obiettive stabilite da un soggetto terzo (l’AgID) senza lasciare la palla in mano al diretto interessato.

Certo, nella migliore tradizione italiana, le linee guida (che avrebbero dovuto essere emesse entro 90 giorni) a tutt’oggi, dopo oltre 3 anni, non sono state approvate, sicché la norma, pur innovativa ed in anticipo sui tempi, è rimasta del tutto inattuata.

Questa, però, è un’altra storia e risulta difficile stabilire oggi quale delle due scelte legislative possa produrre risultati più positivi.

Ce lo dirà la prassi applicativa.

Conclusioni sulla situazione legislativa europea in ambito crypto

Tirando le somme, lo sforzo del legislatore europeo di creare un framework normativo completo su criptovalute, crypto asset e crypto attività è evidente.

Quello che va strutturandosi, tuttavia, è un aggregato di norme che da un lato impone vincoli sempre più capillari sulle attività che vengono svolte impiegando tecniche crittografiche, si direbbe, per il sol fatto che vengono utilizzate tecniche crittografiche.

Dall’altro lato, proprio laddove dal quadro normativo di riferimento occorrerebbe un contributo di chiarezza e di indicazioni univoche ed omogenee, queste indicazioni mancano.

NFT, DeFi, stablecoin algoritmiche ma anche asset baked, sembrano terreni sui quali il legislatore europeo ha enormi difficoltà ad addentrarsi.

Ancor oggi non è stata prodotta una disposizione che consenta di orientarsi con certezza sulla corretta applicazione dei regimi Iva (cioè, l’imposta armonizzata per eccellenza) su asset e attività crittografiche diverse da quelle ricadenti nella stretta definizione di valute virtuali.

Insomma, tutto il quadro che va prendendo forma sembra progressivamente sempre più funzionale alla protezione del mondo della finanza convenzionale che tanto teme la decentralizzazione.

Tutto questo nonostante le petizioni di principio contenute nei copiosi “considerando” che precedono questi corpi regolamentari.

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