Crisi economica, quanto i mercati hanno già scontato?

Siamo al punto di inversione. L’inflazione, con il 9.1% americano, ha molto probabilmente toccato il suo massimo, mentre la disoccupazione, confermata al bassissimo 3.6 nell’ultimo Employment Report, è al suo minimo storico e inizierà presto a risalire.

L’inflazione ha già iniziato a scendere nelle materie prime, nelle retribuzioni e nelle attese dei mercati finanziari. Segnali di inversione arrivano anche dal mercato del lavoro, dove le richieste di sussidi di disoccupazione hanno iniziato a risalire.

Inflazione e occupazione sono esattamente i due obiettivi istituzionali che la Federal Reserve deve tenere sotto controllo. Dalle dichiarazioni dei suoi massimi esponenti sappiamo che l’inflazione dovrà ritornare al due per cento in tempi ragionevolmente brevi e che la disoccupazione dovrà aumentare di mezzo punto percentuale, portandosi sopra il 4 per cento.

La Fed ritiene di potere evitare una recessione, anche se appare ogni giorno meno convinta di riuscirci. Un modo per raffreddare il mercato del lavoro senza creare troppi disoccupati sarebbe quello di cominciare a riequilibrare la sproporzione tra offerte di lavoro da parte delle imprese e persone in cerca di un impiego. Oggi ci sono in America due offerte di lavoro per ogni disoccupato, che può così spuntare una retribuzione più alta. La Fed dichiara di volere riportare questo rapporto alla pari, ovvero tante offerte di lavoro quanti sono i disoccupati. A questo punto il mercato del lavoro sarebbe in una situazione di stato stabile e senza inflazione salariale.

Larry Summers e Olivier Blanchard, in uno studio appena pubblicato e disponibile sul sito del Peterson Institute, sostengono però che per stabilizzare l’inflazione salariale e tornare al due per cento sull’inflazione al consumo occorre un aumento della disoccupazione non di 0.5 punti percentuali come dice la Fed, ma di 1.3. In pratica non basta che le imprese assumano di meno, ma occorre che licenzino.

Per dare un senso a queste cifre ricordiamo che negli ultimi quarant’anni il tasso di disoccupazione ha oscillato tra un minimo del 3.6 per cento (il livello di oggi) e un massimo del 10 (alla fine del 1982 e alla fine del 2009) e del 12 (nel giugno del 2020). Di fronte all’ampiezza di questa fascia di oscillazione, 1.3 punti di disoccupati in più potrebbero non sembrare gran cosa se non fosse che non è il livello assoluto ma la variazione a fare la differenza tra un’espansione e una recessione. Storicamente, in effetti, un rialzo di mezzo punto dei disoccupati ha sempre coinciso con una recessione.

Se i calcoli di Summers e Blanchard sono corretti (e negli ultimi due anni le loro stime sono sempre state molto migliori di quelle ufficiali) le previsioni del mercato di una rapida recessione seguita in primavera da una serie di ribassi dei tassi potrebbero non essere corrette.

In pratica, la Fed si troverebbe di fronte alla scelta tra due alternative.

La prima sarebbe quella non tanto di portare i tassi a un livello particolarmente alto, quanto di mantenerli sopra il tre per cento per un periodo più lungo di quello stimato oggi dal mercato (e quindi fino all’estate o all’autunno del 2023).

La seconda alternativa sarebbe quella di seguire per davvero la strada di Volcker e progettare non una ma due recessioni, intervallate da due o tre trimestri di ribasso dei tassi e di ripresa dell’economia e dei mercati.

Nel primo caso saremmo pronti a un ciclo di ripresa solido già alla fine del 2023. Nel secondo dovremmo seguire un percorso più complicato e aspettare il 2024 per dichiararci completamente guariti.

Quanto sopra è nel caso la Fed voglia davvero andare fino in fondo e conseguire gli obiettivi che ha dichiarato. Naturalmente esiste anche la possibilità che questi obiettivi vengano rivisti lungo il cammino a seconda delle circostanze e che la Fed si accontenti a un certo punto dei risultati e si dichiari soddisfatta anche se non avrà ottenuto tutto quello che si prefiggeva.

Per gli investitori resta comunque il messaggio di assumere un orizzonte lungo e prepararsi a un’ampia volatilità. In compenso, è di qualche conforto che la Fed stia mantenendo il controllo della situazione e si stia organizzando per limitare il più possibile gli eventuali incidenti finanziari che di solito accompagnano le recessioni non pilotate.

È interessante in questo senso che la Fed stia chiedendo alle banche di rafforzare il loro capitale. Per farlo, alcune di loro hanno già annunciato una sospensione dei buy-back. Il mercato l’ha presa male, pensando a un aumento delle sofferenze già in essere o imminente. In realtà si tratta di misure prudenziali che apprezzeremo fra qualche mese, quando l’economia si sarà indebolita.

Quanto scontano i mercati di tutto questo?

Molto, ma non ancora tutto. Non siamo ancora in un contesto favorevole a un’inversione di ciclo dei mercati azionari, ma siamo già in un contesto neutrale per quanto riguarda i Treasury lunghi. Il decennale americano non ci regalerà grandi rialzi nel breve, ma dovrebbe avere terminato di soffrire.

La buona notizia è che l’inflazione reale ha già iniziato a decelerare (in quella che vediamo negli indici ci sono molti effetti ritardati dell’inflazione immobiliare dell’anno scorso). Quando vedremo finalmente scendere anche l’inflazione ufficiale difficilmente il mercato si priverà di un recupero. Temporaneo, probabilmente, ma comunque prezioso.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e Il Nero)

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