Mercati: ecco perché si è attenuata la pressione

Come ogni bear market, anche quello che è iniziato a gennaio ha avuto le sue fiammate di recupero, violente ma anche brevi (invero sempre più brevi). Lungi dall’essere ragione di conforto, le giornate di forte rialzo sono state l’amara conferma di un marcato trend ribassista e della volatilità che questo si porta puntualmente dietro.

Da qualche tempo si nota però una maggiore compostezza, alla quale corrisponde una lenta tendenza al recupero. Le scorribande verso il basso sono più rare e meno convinte. Senza volere esagerare la portata di questa stabilizzazione, se ne possono in ogni caso ricercare le cause.

La prima ragione è interna al mercato. Non c’è più solo un sentiment negativo diffuso, ora ci sono anche portafogli che hanno ridotto il rischio. Alle idee sono seguite le azioni concrete. Ora i portafogli possono assorbire meglio le notizie negative e sono diventati vulnerabili rispetto alle sorprese positive.

La seconda ragione è la convinzione che l’inflazione abbia raggiunto in giugno il suo picco e che sia già iniziata la fase discendente. Le stime sulla velocità e la regolarità di questo processo hanno un’ampia dispersione, ma la percezione dell’inversione di tendenza è chiara. Già i dati relativi a luglio mostreranno un forte rallentamento grazie in particolare alla discesa dei prezzi dell’energia.

La terza ragione è la constatazione che la crescita globale, per quanto in rallentamento evidente, non è necessariamente destinata a trasformarsi in recessione già quest’anno. Questa non è necessariamente una buona notizia per il 2023, ma la sensazione di non stare precipitando già adesso, come invece si era iniziato a pensare, offre un po’ di respiro ai mercati.

La quarta ragione è la sensazione di essere di nuovo all’interno di un quadro non certo ottimale, ma almeno comprensibile e dotato di una logica. Dopo la fine della fase ruggente del 2020-21 e delle sue errate ma salde convinzioni (inflazione transitoria, forte crescita per anni a venire, comprare su ribasso) eravamo entrati in una fase opaca, confusa e a tratti drammatica (guerra, inflazione persistente, politiche monetarie completamente sfasate) in cui l’unico compratore affidabile era costituito dai programmi automatici di buy-back. Ora, per lo meno, c’è l’idea di una ripresa di controllo della situazione da parte delle banche centrali. C’è un percorso di normalizzazione più chiaro, che avrà un costo, ovviamente, che è però in una certa misura già incorporato nei prezzi di mercato.

Il contesto tornato almeno in parte comprensibile dà agli investitori più attenti ai fondamentali la forza di cercare, tra le macerie create dalla caduta dei corsi, le occasioni più interessanti. Con la stessa logica si muovono gli insider delle società quotate, tornati selettivamente compratori.

Questo non significa che i macigni che pesano sulle economie e sui mercati siano scomparsi o si siano ridimensionati. La pandemia e la guerra sono sempre lì. Di energia, fossile o rinnovabile che sia, ce n’è comunque troppo poca per stare tranquilli. Le tensioni sul mercato del lavoro, in particolare in America, fanno sì che, anche debellata l’inflazione da materie prime, resti in vita l’inflazione salariale.

L’Europa, in particolare, resta il punto più vulnerabile. La sua debolezza più grave resta quella energetica. Il Fondo Monetario ha calcolato un impatto che può arrivare fino a 6 punti di Pil nel caso in cui la Russia sospenda completamente le forniture di gas.

Detto questo, dal punto di vista russo lasciare l’Europa senza gas fin da subito significa anche privarsi, oltre che di entrate finanziarie, di un’arma di pressione politica che potrà tornare utile più avanti. Con i governi nazionali europei in fase di progressivo indebolimento (Regno Unito, Francia, Germania, Italia) la Russia potrà provare a giocare il prossimo inverno al gatto col topo con ancora più efficacia.

Nel breve termine, tuttavia, la ripresa delle forniture di gas fornisce ai mercati un’altra ragione per stabilizzarsi. La Bce, dal canto suo, trova un ragionevole compromesso e mette d’accordo i falchi, che portano a casa 50 punti base di rialzo dei tassi, e le colombe, rassicurate da un nuovo strumento per il contenimento della frammentazione della politica monetaria (in pratica per il contenimento dello spread Bund- Btp). Questo strumento avrà ampie caratteristiche di discrezionalità, sia nelle dimensioni sia nella condizionalità, e solo nella pratica ne potremo misurare l’efficacia. Che esista è comunque un primo passo importante.

Come muoversi in questo contesto?

La risposta dipende dall’orizzonte temporale. Se l’orizzonte è a 12-18 mesi vendere sulla forza rimane la strategia da seguire. Se infatti le banche centrali alzeranno i tassi fino a che non si romperà qualcosa, questo sarà l’anno prossimo. Se però l’orizzonte è a tre mesi, può avere senso raccogliere qualcosa, molto selettivamente, sulla debolezza.

Agosto, settembre e ottobre sono i mesi che ci separano dalle elezioni americane di mid-term. Arrivarci con un’inflazione in discesa (quanto meno la benzina e gli alimentari), con ancora un po’ di crescita e con la Borsa in modesto recupero permetterebbe ai democratici di limitare i danni e, nel caso per loro migliore, di mantenere almeno il controllo del senato.

Se invece i repubblicani dovessero prevalere anche al senato, sarebbe certo un cambiamento di linea sulla politica energetica. La produzione di petrolio e di gas verrebbe liberalizzata e per l’inverno 2023-24 gli Stati Uniti potrebbero esportare sul serio in Europa quell’energia che per quest’anno ci è stata solo promessa.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e Il Nero)

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!