Investimenti e il nuovo “Whatever It Takes” delle banche centrali

“Il dato sopra le attese registrato dal livello dei prezzi americani nel mese giugno (+9,1% anno su anno) lascia poco spazio all’interpretazione: per vedere il superamento del picco massimo di inflazione e delle conseguenze ch’esso comporta, bisogna attendere”. Ad affermarlo sono Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset e Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet AM, che di seguito illustrano la view nel dettaglio.

Alla conferma di un contesto stagflattivo, decretato dalla revisione a ribasso delle stime di crescita da parte del Fondo Monetario Internazionale (negli Stati Uniti, dal 4% di gennaio 2022, al 2,3% di luglio) si è presto affiancato il timore di un rischio recessione globale, dettato dall’innescarsi di crisi consecutive (l’ultima delle quali, quella energetica) e dall’azione restrittiva congiunta delle banche centrali. In tal senso, il mercato americano appare oggi diviso tra due fuochi: da un lato, l’analisi macro data dall’insieme dei principali indicatori economici, che mostra una tenuta dei fondamentali, coerenti con una probabilità oggettiva di recessione ancora al di sotto della soglia di guardia; dall’altro, le probabilità implicite di recessione, che rivelano un sentiment di mercato più preoccupato. Alla base di questa incongruenza ci sarebbe la fermezza delle parole della Federal Reserve, pronta ad attuare un ‘Whatever It Takes’ sul contenimento dei prezzi, sacrificando se necessario una parte di crescita economica.

Stratificazione degli shock

Per studiare quali scenari si prospettino all’orizzonte, ancora una volta, è opportuno risalire alle componenti base del tasso di inflazione: la prima, il cosiddetto ‘base effect’ di natura tecnica, rappresenta le pressioni di breve legate a fattori esogeni (il recente rialzo del petrolio, ad esempio) destinate a riassorbirsi nel corso di qualche mese; la seconda, i fattori sensibili legati alla scia lunga del Covid, include voci quali l’aumento dei prezzi di auto usate, acquistate in sostituzione alla carenza di nuove macchine (per via delle difficoltà lato supply chain); la terza, la componente più pura dell’inflazione, quella legata ai consumi, si sta consolidando, pur non destando particolari preoccupazioni.

In generale, i mercati sono oggi accomunati da una incapacità di previsione, che si lega alla stratificazione di più shock. Parliamo di shock stagflattivi, capaci di frenare la crescita economica impattando però al contempo sul rialzo dell’inflazione. Il riassorbirsi di alcune di queste pressioni nel corso dei prossimi 12 mesi potrebbe portare a un ridimensionamento del sentiero di crescita dei prezzi verso un più accettabile livello del 3%. A sua volta, il rientro dell’inflazione, comporterebbe un maggior respiro per le valutazioni, anche se i tempi per una schiarita non sembrano ancora sufficientemente maturi.

Core CPI USA: contributo delle componenti sensibili al COVID e effetti base

Fonte: Pictet Asset Management, CEIC, Refinitiv

Rendimenti più stabili

Del rialzo dei tassi di interesse se n’è largamente parlato e, oggi, il mercato appare più sereno. Quel che si registra è infatti un primo allentamento delle strozzature lato catene di approvvigionamento, mostrato anche dal calo a giugno dell’indice Baltic Dry per il trasporto dei noli marittimi (oggi circa – 40% rispetto al picco di fine maggio). Il problema, a questo punto, resta soprattutto europeo: nel Vecchio Continente è ovvio a tutti che, se si prosegue e si va fino in fondo con le sanzioni alla Russia (privando l’economia di una parte o tutto del gas proveniente da Mosca), i Paesi europei potrebbero avvicinarsi con maggior velocità al rischio recessione. Anche in questo caso, emergono però alcuni spunti positivi: se di recessione si trattasse, è altamente probabile uno scenario di ‘mild recession’ ovvero di difficoltà circostanziate alla fase particolare in corso; in seconda analisi, si inizia a registrare un miglioramento degli stoccaggi di gas nei depositi europei: l’obiettivo di capacità a novembre 2022 è stato fissato all’80%, grazie all’approvvigionamento di gas naturale liquefatto statunitense (rigassificato poi localmente in Eu) e agli accordi siglati dai singoli stati con zone di estrazione (quali Algeria e Azerbaijan).

Banche centrali, one way only

Lato banche centrali, la direzione è ormai stata presa. Jerome Powell ha chiarito che, costi quel che costi, l’attuale priorità resta la stabilità dei prezzi, in un contesto in cui la piena occupazione, secondo mandato dell’istituto americano, non sembra destare preoccupazioni. Per farlo, la Fed si è detta pronta a portare i tassi di interesse fino al 4% (qualcuno all’interno del board Fed, anche oltre) per poi ridimensionarsi nei periodi appena seguenti. Questo configura un aumento dei tassi di interesse che va oltre il livello di neutralità (fissato ora al 2,5% circa) anche se ciò significherà un rallentamento dell’economia.

Il mercato, dal canto suo, sembra ritenere che un miglioramento del livello di inflazione arriverà abbastanza rapidamente. La lettura deriva dai futures sui Fed Fund che, alla terza settimana di luglio, vedevano il raggiungimento del picco sul costo del denaro a fine 2022. La grande complicazione di questa fase sarà riuscire a intercettare i movimenti di una curva di inflazione che sarebbe già dovuta essere in fase di rientro ma che, in realtà, si sposta sempre più in là. Ciò impone ai tassi nominali una salita più elevata e più rapida rispetto alle stime di inizio anno, sia negli Stati Uniti che in Europa. Da capire, con quali effetti per l’economia reale.

 USA: tassi sui Fed Funds attesi dal mercato ed attese comunicate dalla Fed, Marzo 2022

Fonte: Bloomberg

Inflazione, crescita e margini 

Tassi di interesse ed inflazione sono cruciali non solo per gli investimenti obbligazionari ma anche per quelli azionari. Il loro ruolo è duplice: tassi e dinamica dei prezzi influenzano sia i fondamentali, gli utili, che le valutazioni. Sul fronte tassi, molto di quanto visto ha già impattato le valutazioni azionarie. Concentrandoci ora sull’inflazione, generalmente, supporta le vendite delle aziende, mentre la crescita reale sostiene i margini: nel momento in cui si registra un deterioramento delle prospettive di crescita e di inflazione, il fatturato delle aziende ne risente solo in parte, mentre i margini sono impattati con maggior vigore. Analizzando la storia dei margini delle aziende americane negli ultimi sessant’anni (in termini di rapporto tra profitti di contabilità nazionale e livello del Pil a prezzi correnti), si notano livelli ancora elevati, pur intravedendo un principio di discesa. Nonostante gli analisti abbiano iniziato a rivedere al ribasso le stime per i margini per tutti i settori tranne energy e materials, le previsioni degli utili restano ancora piuttosto generose. Esplicitando le previsioni delle variabili macroeconomiche in numeri micro e confrontandole con le previsioni micro del consenso degli analisti, emerge il quadro seguente. Ancora, gli analisti stimano una crescita degli utili del 10% per il 2022. Utilizzando le nostre previsioni macro, otteniamo una previsione di crescita degli utili del 2%, utilizzando i numeri macro del consenso otteniamo utili in decrescita. Occorre quindi un supplemento di analisi.

Variazione da inizio anno dei Margini Forward 2022

Fonte: Pictet Asset Management, Bloomberg. Dati al 15.07.2022

Focus: composizione degli indici

Più nello specifico, per comprendere dove potrebbero risiedere le aree di debolezza, confrontiamo il peso dei settori all’interno dell’indice americano MSCI USA in base alla capitalizzazione di mercato ed alla quota di utili. Partendo dalle market cap, circa il 50% del mercato Usa è composto da settori tipici dello stile growth, il 25% da titoli ciclici (industriali, energetici e finanziari) e un altro 25% da titoli difensivi (real estate, utilities, consumi di base e farmaceutici). Investire nell’indice significa quindi assumersi tale esposizione. La crescita degli utili dell’indice è generata per il 60% dai titoli dello stile growth: il rischio dell’investimento nel listino americano è nelle eventuali delusioni in questa area. Diverso è il caso dell’Europa: il 40% del listino è ciclico, e questo contribuisce per un terzo alla crescita prevista degli utili (+8%): l’eventuale peggioramento della crisi dell’energia con i conseguenti razionamenti all’industria avrebbero un impatto pesante soprattutto in questa area.

 Contributo settoriale alla crescita dei profitti USA vs Europa

Fonte: Dastream, IBES Luglio 2022

Come influisce, dunque, l’inflazione sulle valutazioni? In un’ottica di posizionamento bisogna quindi chiedersi quanto di queste attese sia già scontato nei prezzi. A partire dal 1985, esiste una zona virtuosa del tasso di inflazione posta tra il 2 e il 3 % che ha permesso ai mercati azionari di trattare su multipli più alti. Negli ultimi 12 mesi l’inflazione è andata completamente fuori traiettoria, con l’implicazione di una discesa repentina delle valutazioni. Al momento l’indice S&P 500 tratta circa 16 volte e mezzo gli utili (eravamo a 21,3 alla fine del Q2 2021) e i listini europei trattano a 11 volte gli utili (17,3 un anno prima), quindi sia il problema growth negli Usa che il problema ciclico in Eu sono in buona parte già inglobati nei prezzi. In effetti, il nostro scenario di rientro dell’inflazione, se corretto, implica una stabilità delle valutazioni sui livelli attuali ed una ripresa delle valutazioni stesse sul finire del 2022.

Ancora prudenza, in modo costruttivo

Il 2022 si è aperto come un anno difficilissimo da affrontare sui mercati. L’azione stringente della Fed è diventata il market mover per tutto il negoziabile in ambito UCITS, e ha spinto a mosse più brusche le altre major tra gli istituti centrali. Le strategie prudenti hanno dovuto fare i conti con il venir meno della classica relazione inversa tra equity e bond, che ha annullato il ruolo di diversificatore della componente obbligazionaria. Su tale fronte, stanno progressivamente venendo meno i rischi legati a un aumento troppo brusco e repentino sui tassi di interesse (e quindi sulla parte direzionale degli spread), ma permangono quelli connessi a un possibile peggioramento dei fondamentali qualora una recessione avesse luogo. Si ribadisce quindi cautela sul fronte del credito, specie americano, che tende ad avere meno duration e più rischio, mentre si iniziano ad aprire finestre per un aumento del peso sulla parte più lunga della curva a 10 e 30 anni, scadenza quest’ultima entrata di recente per la prima volta a far parte del portafoglio MAGO.

Anche la Banca centrale europea ha adottato negli ultimi mesi un atteggiamento più severo, intenzionata a contenere sopra ogni altra cosa il livello di inflazione (a riprova, il recente aumento da mezzo punto percentuale rispetto al preannunciato +0,25%). Il piano anti-frammentazione europeo presentato in occasione del meeting di luglio, il Transmission Protection Mechanism (TPI), inoltre, potrebbe offrire ai falchi della Bce ulteriori motivazioni per intervenire in maniera più marcata sui tassi di interesse, appellandosi allo schema di protezione da movimenti disordinati degli spread, attuabile da Francoforte in caso di necessità. Questo, invita alla prudenza sulle lunghe scadenze, dove ancora permangono aree di incertezza.

Un’ultima nota sul dollaro americano: la possibilità di una risoluzione di alcuni degli shock che hanno preoccupato i mercati nell’ultimo semestre potrebbe togliere parte dell’appetibilità al dollaro, che ha beneficiato di una fase di risk off, ma che potrebbe tornare a deprezzarsi contro euro entro la fine dell’anno qualora lo scenario di base mostrasse qualche svolta positiva.

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