Mercati, tra rallentamento e recessione

Di seguito il nuovo contributo di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy, dal titolo “Rallentamento o recessione?”.

Un rallentamento economico dopo la fortissima performance del 2021 era ampiamente atteso, ma la rapidità del deterioramento di alcuni dati economici – per lo più dipendenti dall’inflazione – ha destato preoccupazione. Ad oggi non è chiaro se l’attuale decelerazione del PIL ci porterà gradualmente verso il trend di crescita di medio termine oppure ci farà piombare in recessione (significativa e non solo tecnica). La visione dei principali mercati al riguardo sembra incoerente: i rendimenti a breve termine del Treasury statunitense superano quelli del decennale, un fenomeno indicato come «inversione della curva dei rendimenti» e che segnala una probabile recessione; d’altra parte, nonostante la forte correzione dell’azionario implichi un brusco rallentamento economico, le attuali valutazioni non riflettono una vera e propria recessione. In effetti, non è facile fare una previsione perché la lettura dei dati economici dopo la pandemia non corrisponde all’esperienza passata. Per esempio, gli Stati Uniti hanno riportato due trimestri consecutivi di crescita marginalmente negativa, quindi una recessione tecnica, ma il mercato del lavoro è quanto mai vivace. Infatti, il tasso di disoccupazione è allineato al livello minimo degli ultimi 50 anni, le offerte di lavoro sono il doppio rispetto a prima della pandemia e si registrano continui aumenti delle retribuzioni. Nonostante ciò, i redditi reali (al netto quindi dell’inflazione) scendono per via dell’inflazione. Questo calo del potere d’acquisto delle famiglie non si sta traducendo in una diminuzione dei consumi che, anzi, stanno ancora aumentando. Questo perché le famiglie riducono progressivamente il tasso di risparmio per compensare l’aumento del costo della vita: il tasso di risparmio negli Stati Uniti è oggi molto al di sotto rispetto al periodo pre-pandemia. Nella zona euro troviamo un quadro abbastanza simile: la disoccupazione è ai minimi storici, le offerte di impiego sono a livelli record, ma i redditi reali (al netto dell’inflazione) si riducono. Questa diminuzione per il momento non ha avuto un impatto sui consumi, che continuano a crescere grazie al calo del tasso di risparmio. Quest’ultimo si è riportato a livelli vicini al periodo pre- COVID (è sceso quindi dal 25% al 15%). Questa strana combinazione è importante perché la sua variazione determinerà se ci troveremo in recessione oppure no. Affinché si eviti una recessione, occorre che le retribuzioni reali nette smettano di scendere (per via dell’aumento degli stipendi o della diminuzione dell’inflazione) prima che venga erosa la base di risparmio e torni ad aumentare nuovamente la propensione ad accantonare risorse finanziarie. Al contrario, se qualcosa minasse la fiducia delle famiglie, per esempio un deterioramento del mercato del lavoro, e le inducesse a incrementare la quota di risparmio, diminuirebbero i consumi e si entrerebbe quindi in una vera e propria recessione. Insomma, una sorta di «profezia autoavverante»: proprio per via della paura si materializza l’evento temuto. Da questo punto di vista si comprende come il ruolo dei media, e in particolare dei social media, possa giocare un ruolo importante. Un altro rischio che potrebbe portare alla recessione è una riduzione della domanda in autunno per compensare le maggiori spese dei mesi passati. Non è così difficile immaginare che possa accadere. Nel 2019 le famiglie americane spendevano il 5% del PIL in vacanze, quelle europee il 3,4%. I prezzi di aerei, hotel e divertimenti sono saliti notevolmente, ma i consumatori li hanno accettati (comprensibilmente dopo i lockdown); non si può però escludere che in autunno riducano i consumi per compensare le maggiori spese estive. Nel passato, l’inflazione era guidata soprattutto dall’andamento dal costo del lavoro, che rappresenta circa il 70% del paniere per le economie avanzate. Anche in questo caso, l’attuale ciclo economico è anomalo perché l’inflazione non è stata guidata dalle retribuzioni, bensì dalle materie prime, almeno inizialmente. La sfida per le banche centrali è riuscire a calibrare i rialzi dei tassi per contenere l’inflazione senza spingere l’economia verso una recessione. Infatti, ogni rialzo dei tassi rende più oneroso prendere denaro a prestito e incide quindi su settori che sono molto importanti per l’economia come, per esempio, quello immobiliare con il suo indotto. Per questo, le economie più indebitate come gli USA e il Regno Unito potrebbero vivere un deterioramento più rapido. Ma leggere i dati economici oggi è più complesso, perché alcune correlazioni del passato non sembrano funzionare più, almeno nel breve termine. La capacità dell’economia di continuare a crescere dipende in modo importante dall’andamento dei consumi e dell’inflazione: l’autunno sarà il periodo critico per valutarne la tenuta.

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