Perchè il petrolio scende?


di Tom Stevenson, Head of Corporale Writing,
Fidelity Investments International

E’ curioso notare come cambiano le nostre aspettative sul prezzo del petrolio.
Se qualcuno avesse affermato un anno fa che per fare un pieno di benzina ci sarebbero voluti circa 1,15 dollari al litro, avremmo avuto un sussulto. Dato che siamo anche arrivati a pagare oltre 1,20 dollari al litro, l’ultima lieve flessione fa sì che vediamo il petrolio quasi a buon mercato. Quasi.
Considerato che la maggior parte del prezzo di un litro di petrolio nel Regno Unito deriva da tasse, il costo visibile attenua i meccanismi che sono alla base del sottostante prezzo del greggio, che è crollato di circa un quinto dal picco che aveva toccato il mese scorso quando era arrivato a 145 dollari al barile.

Cosa è successo dunque, e cosa può comportare tale andamento per gli investimenti?
Quando il prezzo del petrolio è sceso al di sotto dei 120 dollari al barile durante la scorsa settimana, toccando il punto più basso da tre mesi, molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Le grandi società petrolifere hanno applaudito (silenziosamente) i prezzi del greggio, ma per tutti gli altri, in un mondo come il nostro dipendente dal petrolio, i prezzi alle stelle dell’energia sono un incubo da scongiurare.
Il costo crescente sostenuto per viaggiare o per riscaldare le nostre case, senza considerare l’impatto sul prezzo degli alimenti e altri costi, è effettivamente un aumento di spesa. In un contesto caratterizzato da redditi stagnanti, la spesa per i consumi subisce una battuta d’arresto, le società vedono i loro costi salire alle stelle e le banche centrali non riescono a sostenere la crescita economica attraverso i tassi di interesse.

Il rallentamento della crescita economia è certamente una delle ragioni del ribasso del prezzo del petrolio. La contraddizione insita in un lento susseguirsi di notizie economiche non certo rassicuranti e di un contemporaneo prezzo del greggio alle stelle è finalmente apparsa chiara al mercato. In America, dove tasse a livelli bassi comportano un rialzo del prezzo del petrolio e il conseguente aumento del costo del gas, si è verificato un evidente calo della domanda. E a margine, questo è il più importante fattore per il prezzo di compensazione della materia prima più importante del mondo.

Ma il declino della domanda non è certo l’unica ragione. Bisogna considerare anche l’aumento dell’offerta. La quantità di petrolio fornito dai paesi dell’Opec è aumentata se consideriamo che i 32,4 milioni di barili al giorno dello scorso giugno sono 1,8 milioni in più rispetto a un anno fa, e per la prima volta in assoluto la International Energy Agency ha smesso di sollecitare l’aumento della produzione ai cartelli dei produttori di greggio. L’Arabia Saudita, il maggiore fornitore di petrolio al mondo, sta estraendo greggio come mai accaduto dal 1981.

Nel mercato del petrolio, il meccanismo che ne determina il prezzo non riflette esattamente la domanda e l’offerta. Un terzo elemento è l’influenza degli investitori, che si sono mossi pesantemente all’interno del mercato delle commodity in questi anni. HSBC stima che negli ultimi tre anni 200 miliardi di dollari sono stati riversati nei fondi specializzati in materie prime, poiché gli investitori istituzionali hanno cercato di diversificare i loro portafogli rispetto all’azionario e all’obbligazionario, cercando inoltre di preservare i capitali contro la discesa del dollaro5.
Mentre questa strategia può sembrare una diversificazione prudente quando i prezzi delle [a]commodity[/a] stanno salendo, è meno saggia in un mercato in ribasso. L’unica ragione per investire nelle materie prime come il petrolio è la convinzione che il prezzo continuerà a salire. Non c’è nessun motivo di tenerle in portafoglio in un mercato in ribasso e le vendite massicce rendono i prezzi più volatili rispetto ad altre asset class.

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