Investimenti e la recessione di Schroedinger

Del citatissimo gatto quantistico di Schroedinger si può dire che sia vivo, ma si può anche dire che sia morto. Allo stesso modo, si può dire e si dice che la recessione ci sia, ma si può anche dire e si dice che non ci sia.

Non solo ci sono dati abbondanti che supportano l’una e l’altra tesi, ma accade che lo stesso tipo di dato mandi segnali contraddittori. L’indice globale di diffusione di luglio relativo ai servizi (i tre quarti dell’economia, ricordiamolo) precipita a 47 e segnala recessione. L’indice ISM americano dello stesso mese supera le stime, va a 56 e indica addirittura una riaccelerazione.

Da alcune settimane segnaliamo in questa nota che, al netto dei cambiamenti di tono delle banche centrali (rilassate fino a novembre, in vigile attesa da novembre a marzo, preoccupatissime da aprile, cautamente tranquillizzanti per bocca di Powell il 27 luglio, di nuovo severe nelle ultime ore con le colombe, tra cui la più colomba di tutte Neel Kashkari, che ci invitano a scordarci di tagli dei tassi nel 2023), l’economia si muove lentamente, soprattutto quando i cambiamenti di velocità non sono dovuti a shock esogeni ma a scelte di policy.

I mercati, tuttavia, tendono a essere sbrigativi e cercano sempre di anticipare tutto. Nel primo semestre sono scesi perché hanno scontato una recessione solo annunciata come se fosse già in corso. Ora risalgono, constatando che la fine del mondo non è ancora arrivata e provando a scontare la fine della (eventuale) recessione entro pochi mesi. Se poi la recessione dovesse prolungarsi ai primi mesi del 2023, tanto meglio, perché avremmo tagli dei tassi già in primavera.

Nel loro entusiasmo, i mercati, dopo averla derisa come una favola, abbracciano ora la tesi ufficiale della Fed, quella della cosiddetta disinflazione immacolata, ovvero l’inflazione che scende in poco tempo dal 9 al 2 per cento senza che questo comporti una recessione o un calo dei profitti.

Hanno ragione i mercati?

Chi li vive sulla propria pelle tende negli anni a considerare i mercati come un corpo mistico infallibile, al quale è sempre meglio conformarsi. Die Partei hat immer recht, il partito ha sempre ragione, cantavano nel loro inno ufficiale i membri della Sed della Ddr (tra cui la giovane Angela Merkel), e questo è vero anche e soprattutto quando il partito cambia improvvisamente idea. Non ci si deve quindi mettere contro il mercato, perché extra ecclesiam nulla salus.

Ma c’è anche un’altra linea di pensiero secondo cui il mercato ha sempre torto, per cui bisogna comprare quando tutti sono pessimisti e vendere quando tutti sono ottimisti. In effetti chi ha comprato a metà giugno, quando il pessimismo era granitico, guadagna un ottimo 10% sui maggiori indici e ancora di più sulla tecnologia.

Che fare dunque?

Un supplemento d’indagine è d’obbligo. A indagare meglio, si scopre che anche i mercati stanno vivendo un loro momento schroedingeriano. L’azionario vive infatti in un mondo che eviterà una recessione seria, ma le materie prime abitano un mondo parallelo che si sente già in una recessione non certo superficiale. E anche i bond restano con un piede e mezzo nell’area della recessione.

Indagando ancora, si scopre che anche l’ottimismo sull’inflazione che circola nel mondo dell’azionario è forse eccessivo. Sarà perché non ho un PhD, scrive Zoltan Pozsar nella sua ultima nota, ma non mi è chiaro perché l’inflazione debba necessariamente scendere in un mondo in guerra in cui le decisioni che contano non le prendono le banche centrali ma i governi belligeranti.

Pozsar ama i paradossi. La discesa dei prezzi dell’energia garantisce in realtà che i prezzi al consumo rallenteranno parecchio la loro corsa nel breve termine. C’è anche qualcosa di strutturale che finalmente si sta muovendo su questo fronte. La Germania sembra decisa ad abbandonare l’idea di chiudere le sue ultime centrali nucleari, perfettamente funzionanti, proprio il prossimo inverno. In Canada, un governo che ha fatto della lotta ai combustibili fossili una bandiera annuncia ora che aumenterà la produzione di gas per rifornire l’Europa e permetterle di fare a meno del gas russo. Nel frattempo cresce ovunque la produzione di carbone.

Un mondo in guerra, che in questi giorni sta provando a pensare a quello che comporterebbe un giorno un secondo fronte su Taiwan, resta comunque esposto strutturalmente all’inflazione. E che la situazione non sia così tranquillizzante ce lo ricorda oggi la Bank of England, una banca centrale abituata a parlare più chiaro delle altre, quando descrive una recessione lunga un anno che sta per cominciare e di un’inflazione che rimarrà alta per tutto il 2023.

In sintesi, il punto da tenere presente è che non siamo ancora arrivati al momento di svolta ciclica. Il rialzo azionario in corso è molto più solido dei tentativi di recupero che hanno accompagnato la discesa del mercato nel primo semestre. Quelli erano esclusivamente tecnici, questo ha dietro alcuni elementi fondamentali. Oltre all’inflazione che sta per scendere, ci sono infatti utili che non hanno ancora subito danni rilevanti e che in al cuni casi sono sorprendentemente forti.

Oltre che essere alimentato dai fondamentali, il rialzo in corso ha avuto il robusto appoggio del sentiment estremamente negativo e dei portafogli che in questi mesi si sono alleggeriti di rischio. Oggi il sentiment è ritornato equilibrato e non è da escludere, come è stato scritto, che i cantori della recessione si trasformino fra poco in cantori di un semplice soft patch, una pausa superficiale nella crescita.

Detto questo, il rialzo in corso, per quanto solido e serio, va ancora considerato un bear market rally. Il recupero troverà probabilmente altro combustibile negli imminenti dati sull’inflazione, nei fondi Cta che seguono meccanicamente le tendenze e nella risposta premi di agosto. A un certo punto, forse già in settembre, ci sarà però un momento di distribuzione. Meglio essere preparati.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e il Nero)

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