Asset allocation: quando emergenti fa rima con resilienti

La stretta della Fed, con l’indice dei prezzi al rialzo, sta cercando di impedire all’inflazione di diventare strutturale, soprattutto per i salari. Ciò ha fatto apprezzare il dollaro e aumentare il costo ponderato del capitale. Si sono diffusi i timori di una recessione su scala globale, anche a fronte della revisione al ribasso degli utili. In pratica le valutazioni vengono messe in dubbio. Sono veramente convenienti? Sono interrogativi che ci si pone sia per il segmento value che growth. Gli spread EMB, l’indice delle obbligazioni dei mercati emergenti, si sono ampliati e nello scorso trimestre abbiamo dovuto riconsiderare la crescita dei ricavi, i margini operativi e l’incapacità di trasferire i costi delle risorse. E poi ci sono le dinamiche geopolitiche che hanno fatto salire ulteriormente il dollaro. Il conflitto tra Russia e Ucraina, la disponibilità di energia per l’Unione Europea, petrolio, diesel e gas, soprattutto per la Germania, sono tutti possibili cigni neri.

In questo scenario, ecco di seguito la view sui mercati emergenti di Tim Love, Investment Director responsabile delle strategie azionarie dei paesi emergenti di GAM Investments.

Le strozzature delle catene di distribuzione proseguono, non solo a causa dei lockdown in Cina, che sono diminuiti verso la fine del trimestre, ma sicuramente hanno pesato nei primi due mesi. Tutte queste problematiche sono state concomitanti. Praticamente, un costo del capitale più alto, un credito più alto in termini degli spread degli indici obbligazionari dei mercati emergenti e l’impennata delle materie prime, oltre ai problemi nelle catene di distribuzione.

Molte valute dei mercati emergenti hanno tenuto bene, grazie al fatto che avevano iniziato a scendere molto prima rispetto a quelle dei Paesi sviluppati. Dunque, le valute dei Paesi esportatori di commodity erano già scese del 60-70%. E 8 dei 10 principali mercati emergenti oggi sono liquidi, investment grade. Nel 2004, prima della sovraperformance eccezionale del 2004 e nel 2008, i mercati emergenti hanno fatto meglio di quelli sviluppati.

Abbiamo liquidità, abbiamo affidabilità di credito e, aspetto più importante, abbiamo già subito i ribassi arbitrati dovuti alla percezione di un rischio elevato quando, in realtà, le preoccupazioni sono meno di quello che molti pensano. Fiducia, liquidità e posizionamento sono stati molto negativi per i mercati emergenti. Gli utili hanno tenuto su numerosi importanti mercati, soprattutto grazie alle riforme interne, in particolare in Cina e in India. Da segnalare anche i cambiamenti nella composizione degli indici, che si stanno modernizzando e comprendono oggi una percentuale più elevata dell’economia del futuro. Intelligenza artificiale, robotica, cibernetica, ma anche servizi di consulenza, i veicoli elettrici, sia come industria che come materiali.

Le prospettive dei mercati emergenti per il secondo semestre dell’anno sono positive in termini relativi, come spiegato, e molto probabilmente anche in termini assoluti nell’ipotesi che la recessione nei Paesi sviluppati sia, nel peggiore dei casi, limitata o modesta. Se ci fosse un hard landing nei Paesi sviluppati, ne risentirebbero allo stesso modo, ma non di più. In termini di rischio e rendimento, i ribassi sarebbero condivisi, ma a fronte di maggiori guadagni. Dunque, il profilo di rischio e rendimento è interessante. Ne vediamo già i segnali perché l’asset class dei mercati emergenti nel primo semestre non ha perso così tanto, grazie ai fattori illustrati prima, ovvero fiducia, liquidità e tenuta degli utili.

Guardando più nel dettaglio, cosa libererà questo potenziale?

Credo una flessione del dollaro, una stretta di minore portata da parte della Fed, un’inflazione più contenuta e meno strutturale. Una riduzione dei rischi geopolitici farebbe rallentare un po’ il dollaro.

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