Inflazione Usa più alta delle stime. Come posizionare i portafogli

L’inflazione USA di agosto è stata più alta delle stime (8,3% contro 8,1%), seppur in flessione rispetto a luglio (8,5%). I mercati hanno reagito in malo modo.

Non tanto per l’entità del gap tra il dato e la stima, quanto per la tendenza. Se infatti l’inflazione è più da domanda che da costi, il rialzo dei tassi di interesse avrebbe dovuto spegnere più velocemente di quello che ha fatto la crescita dei prezzi. Da qui la reazione dei mercati che cominciano scontare un rialzo di 100 bp nel prossimo meeting del 21 settembre. Whatever it takes contro l’inflazione, abbiamo capito che sarà il mantra della FED per i prossimi mesi e quindi è possibile che il prossimo aumento possa essere di 100 puynti base. I contratti derivati lo danno con una probabilità dell’80% circa, mentre per il restante 20% l’aumento sarà di 75 bp.

I mercati temono che Powell possa seguire la strada del suo predecessore Volcker (alzando violentemente i tassi) che nel novembre del 1980 portò il tasso dei fondi federali al 15,9% e successivamente al picco storico del 19,1% nel giugno del 1981 e aprì la strada alle due recessioni USA (1980 e nel 1981/82), la prima delle quali costò la rielezione di Carter e la seconda la sconfitta di mid term di Reagan. Il Tbond a 10 anni tocco il picco di periodo al 15,8% nel settembre del 1981 e nell’agosto del 1982 il Dow Jones tocco il minino a 776 punti.

In ogni caso (75 bp o 100 bp), siamo convinti che l’economia USA sia destinata a scivolare verso una recessione “un po’ più tecnica” di quella che il FOMC sta dicendo (del resto anche l’inflazione sarebbe stata transitoria).

Con una recessione più profonda e duratura delle attese, che apre le porte a una riduzione dell’inflazione, è probabile che a partire dal secondo semestre del 2023 i tassi possano aver finito di salire o addirittura possano scendere. CME Group stima che entro i primi mesi del 2023 i tassi FED saliranno al 4-4,25%, salvo scendere al 3,50% già entro luglio. Il mercato prezza già tre tagli dei tassi da 0,25% da qui a dodici mesi, ossia appunto la recessione.

In questa fase riteniamo che gli investitori debbano guardare con cautela (e in modo opportuno) a un allungamento della duration del portafoglio obbligazionario. Alla luce dell’appiattimento relativo della curva, il rendimento incrementale per detenere scadenze più lunghe potrebbe non essere del tutto compensato dal più elevato rischio (almeno per il momento).

Non sottovaluterei lo scenario geopolitico, non solo fra Russia ed Ucraina, ma anche fra la Cina e Taiwan (stranamente se ne parla poco), dove la guerra civile si è fermata solo formalmente con la firma del trattato di pace, ma i due paesi sono tecnicamente ancora in stato di guerra.

La nostra convinzione continua ad essere quella di privilegiare l‘investimento in azioni, soprattutto di quelle aziende in grado di aumentare i prezzi finali di vendita ad un aumento dei costi complessivi di produzione.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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