Asset allocation: ecco perchè puntare sull’economia blu

Poter fare il bagno in un mare pulito è sicuramente una priorità per chi ha la fortuna di essere in vacanza quest’estate. Ma la qualità dell’acqua non è importante solo per il turismo balneare.

L’economia blu, termine coniato dall’ONU nel 2012, comprende l’insieme delle attività legate agli oceani, ai mari e alle aree costiere, quindi anche la pesca e l’acquacoltura, il trasporto marittimo, le attività portuali, la produzione di energia offshore, ecc. L’obiettivo consiste nel rendere queste attività sostenibili e socialmente eque, il che richiederà considerevoli risorse finanziarie, sia pubbliche che private”. Ad affermarlo è Andrea Biscia, Equity Analyst & ESG Analys dit Decalia,che di seguito illustra la propria visione nei dettagli.

Sebbene la crisi legata alla plastica sia ormai ampiamente riconosciuta, è opportuno ricordare alcuni dati. Nel giro di settant’anni la produzione annuale di plastica è stata moltiplicata per più di 250 volte. Da 1,5 milioni di tonnellate metriche nel 1950 è passata a oltre 400 milioni di tonnellate metriche nel 2020 per una produzione cumulata di più di 8 miliardi di tonnellate metriche. Gli imballaggi rappresentano da soli più di un terzo della produzione di plastica. Pur essendo molto pratica ed economica, la plastica genera una grande quantità di rifiuti che finiscono per la maggior parte (70%) nelle discariche, nei depositi o, ancor peggio, in natura. Una volta nell’ambiente, la plastica vi rimane per oltre 500 anni, scomponendosi lentamente in microcomponenti che si spostano con una certa facilità nell’acqua e nell’aria, con conseguenze nefaste per l’uomo e la fauna.

La pandemia di COVID ha purtroppo esacerbato il problema, portando ad un aumento dell’utilizzo di plastica monouso, per motivi di igiene e per la crescita della ristorazione da asporto. Tuttavia numerosi paesi hanno adottato misure finalizzate a scoraggiare il ricorso alla plastica monouso, sotto forma di normativa o di incentivi finanziari. Ed il 2 marzo scorso è stata compiuta una svolta storica quando 175 Stati membri dell’ONU hanno deciso all’unanimità di elaborare entro il 2024 un quadro di riferimento globale e legalmente vincolante per “porre fine all’inquinamento da plastica”.

Degno di nota è anche il progetto circolare SEA 2019-2023, attivo in sei Paesi del Sud-Est asiatico (l’Asia è, secondo recenti ricerche, la regione da cui l’81% della plastica entra negli oceani). Si tratta di una collaborazione tra enti pubblici, privati ed accademici, con l’obiettivo – come suggerisce il nome del progetto – di affrontare l’intero ciclo di vita della plastica.

L’ultima fase di tale ciclo di vita consiste nel riciclo e nel riutilizzo. Il tasso attuale di riciclo della plastica purtroppo è inferiore al 10% e non tutti i tipi di plastica possono essere riciclati. Si stanno facendo però rapidi progressi e l’elenco dei prodotti fabbricati a partire da rifiuti di plastica continua ad allungarsi. Adidas, ad esempio, ha collaborato con l’organizzazione ambientale Parley for the Oceans per sviluppare una scarpa da corsa fabbricata a base di plastica oceanica riciclata. In modo simile è possibile acquistare occhiali da sole Norton Point o indumenti G-Star RAW. Le reti da pesca scartate sono invece utilizzate da Bureo per produrre skateboard e da Net-works per fabbricare quadrotte di moquette. E una società  come Unifi ricicla la plastica per farne toghe di fine studi che 2,2 milioni di studenti hanno già indossato con orgoglio.

La transizione vero un’economia più blu rappresenta una sfida. Un’azione che richiederà l’impegno di politici, istituzioni finanziarie, aziende ed investitori ed un cambiamento di mentalità da parte dei consumatori. Ma è fondamentale per vincere la battaglia in corso contro il cambiamento climatico e per garantire un futuro agli oltre 3 miliardi di persone che vivono negli oceani.

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