Asset allocation, Giappone: la volatilità dello yen è sotto controllo

Come ampiamente previsto, la Banca del Giappone (BoJ) nella riunione del 21-22 settembre, ha mantenuto la sua posizione di politica monetaria molto morbida nonostante l’inflazione giapponese abbia superato la soglia del 2% e l’atteggiamento da falco delle altre principali banche centrali.

L’inflazione core (esclusi i generi alimentari) in Giappone è salita al 2,8% in agosto, soprattutto a causa dello shock dell’offerta e non della domanda interna. Gli economisti e la banca centrale prevedono che l’inflazione rimarrà sotto pressione fino al 2022, raggiungendo il 3% entro la fine di quest’anno, ma dovrebbe essere moderata l’anno prossimo. Attualmente la BoJ prevede che, l’anno prossimo, l’inflazione scenda sotto il 2%.

La decisione della BoJ è arrivata subito dopo che la Fed ha aumentato i tassi per la terza volta di 75 punti base (bps). La Banca del Giappone continua a perseguire il suo obiettivo dei tassi a breve termine a -0,1% e la politica di controllo della curva dei rendimenti (YCC) che fissa i tassi di rendimento dei titoli di Stato giapponesi a 10 anni intorno allo 0%. La scorsa settimana, la BoJ ha speso circa 2,9 trilioni di yen (20 miliardi di dollari) per difendere il tetto dello 0,25%.

In questo quadro, ecco di seguito l’opinione di Audrey Bismuth, Global Macro Researcher de La Française AM.

Dall’inizio dell’anno, il dollaro si è rafforzato del 16% rispetto alle principali valute, lo yen è sceso del 26% rispetto al dollaro statunitense, che questo mese ha toccato il massimo negli ultimi 24 anni raggiungendo quota 145,82 yen.

Diversi fattori hanno causato la caduta libera dello yen, tra cui l’aumento del divario tra gli incrementi dei tassi di interesse della Fed e la volontà della Banca del Giappone di mantenere una politica monetaria accomodante. L’attuale saldo contabile è un altro fattore. A luglio, infatti, è stato pari a 229 miliardi di yen (1,6 miliardi di dollari), in calo rispetto al surplus di 1.715 miliardi di yen (15,6 miliardi di dollari) dell’anno precedente, a causa dell’aumento dei costi delle importazioni. Inoltre, il dollaro statunitense è considerato un bene rifugio in un contesto di incertezza economica e geopolitica.

Di conseguenza, l‘indebolimento dello yen sta diventando un problema per i funzionari giapponesi. Un intervento sul mercato valutario può essere deciso solo dal Ministero delle Finanze (MoF) ed eseguito dalla Banca del Giappone.  Nel 1991-1992 e nel 1997-1998, il Ministero delle Finanze è intervenuto più volte sul mercato valutario per difendere la moneta giapponese rispetto al dollaro statunitense.  Dall’inizio di settembre, le autorità giapponesi sono diventate sempre più esigenti nel proteggere la loro moneta. I funzionari del Ministero delle Finanze hanno avvertito che il Giappone è pronto a intervenire per arrestare il deprezzamento dello yen.

La Banca del Giappone avrebbe condotto un controllo sui cambi, mossa vista come anticipo di un intervento formale per proteggere lo yen. Il 22 settembre, subito dopo la fine della conferenza stampa del governatore Haruhiko Kuroda, contro ogni previsione, il governo giapponese ha annunciato di aver intrapreso un’azione decisiva, sostenuta dall’amministrazione statunitense, per contrastare gli speculatori. La valuta giapponese si è rafforzata a 142,48 da 145,83 contro la valuta statunitense subito dopo la fine della conferenza di Kuroda.

Tuttavia, l’intervento di acquisto dello yen potrebbe dare luogo a una reazione temporanea del mercato. La storia dimostra che l’intervento di acquisto dello yen non ne arresta il deprezzamento. Nell’agosto 1998, la valuta giapponese ha raggiunto quasi 148 per dollaro anche dopo che le autorità statunitensi si sono unite alla BoJ per acquistare yen. Inoltre, in un contesto di incertezza economica, monetaria e geopolitica, il dollaro rimane dominante.

L’intervento di acquisto dello yen, unito alla normalizzazione della politica monetaria della BoJ, potrebbe fermare il deprezzamento dello yen rispetto al dollaro. Tuttavia, in occasione della riunione del 21-22 settembre, il governatore Kuroda ha indicato che la banca centrale “non avrà necessità di modificare la guidance per i prossimi 2 o 3 anni”. Di conseguenza, la probabilità che il governatore Kuroda modifichi in modo significativo la politica monetaria della BoJ durante il suo mandato, che terminerà nell’aprile 2023, è bassa.

La crescita dei salari con i bonus di quest’inverno e la contrattazione salariale annuale della prossima primavera saranno fondamentali per un aumento stabile e sostenibile dell’inflazione e, di conseguenza, per una normalizzazione della politica monetaria. Almeno inizialmente, ci aspettiamo che la BoJ modifichi il controllo della curva dei rendimenti (YCC) dal livello decennale a quello quinquennale nel primo semestre del 2023, prima di tornare alla politica monetaria convenzionale (cioè abbandonando la prossima guidance e revocando la politica dei tassi di interesse negativi).

La svolta moderata della Fed è fondamentale per evitare un ulteriore deprezzamento dello yen, ma sembra molto prematura in questa fase. Inoltre, un passo importante sarà la capacità del Primo Ministro Kishida di dimostrare che la sua priorità politica si è discostata dall’eredità e dalle politiche economiche del defunto Primo Ministro Shinzo Abe (Abenomics). L’intervento sullo yen del 22 settembre potrebbe essere un primo segnale.

Entro la fine dell’anno, prevediamo un ulteriore deprezzamento dello yen nei confronti del dollaro USA, dato che la Fed manterrà il suo atteggiamento aggressivo e la BoJ confermerà la sua politica monetaria accomodante. Inoltre, la debolezza dello yen è positiva per l’economia in quanto favorisce le esportazioni. In un orizzonte temporale più lungo (fine 2023), riteniamo che lo yen si rafforzerà grazie a una normalizzazione della politica monetaria della Fed e della BoJ.

 

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