Investimenti: le quattro domande chiave da qui a fine anno

Questo è stato un anno molto impegnativo per i mercati, colpiti da una difficoltà dopo l’altra. Tra queste, la stretta monetaria per contrastare un’inflazione inattesa, le tensioni sui mercati Forex, il grave rallentamento dell’economia e un contesto politico internazionale molto teso. Non c’è da stupirsi che ci sia così poca visibilità.

In questo scenario, ecco di seguito le quattro domande chiave che dovrebbero porsi gli investitori da qui a fine anno e la relativa view di Jean-Marie Mercadal, Head della strategia di investimento di Ofi Holding e Eric Bertrand, CIO di Ofi AM.

1 – Quali sono i tassi a cui mirano le banche centrali?

Dopo aver apparentemente sottovalutato la ripresa senza precedenti dell’inflazione, la Fed è ora determinata a contenere una possibile spirale inflazionistica, anche a costo di mandare l’economia statunitense in recessione. Ha quindi intrapreso la fase di inasprimento più rapida degli ultimi 40 anni. Ora sono i mercati a correre dietro a Jerome Powell per cercare di definire il famoso tasso finale dei Fed Funds per questo ciclo. La stima di fine 2023 è passata dal 3,25/3,50% di qualche settimana fa al 4,25/4,50%.

In Europa, anche la BCE è determinata a combattere l’inflazione. Il tasso di Ester terminale di questo ciclo di inasprimento è previsto a quasi il 3,25% nella prima metà del 2023. I prossimi mesi vedranno probabilmente ulteriori aggiustamenti in questo nuovo contesto inflazionistico, emerso dopo un lungo periodo di quasi deflazione. Di conseguenza, nelle ultime settimane i mercati obbligazionari si sono adeguati regolarmente a queste nuove aspettative, con un rapido aumento dei rendimenti che ha fatto scendere i prezzi degli asset.

Abbiamo la sensazione che le strategie da falco delle banche centrali siano state in definitiva prezzate dai mercati e che i tassi obiettivo del 4,5% negli Stati Uniti e del 3,0% nell’area dell’euro, ora attesi, non saranno più aumentati con l’aggravarsi del rallentamento economico. In considerazione di ciò, riteniamo che i rendimenti obbligazionari a lungo termine abbiano già completato la maggior parte del loro percorso di risalita.

2 – Quanto sarà grave il rallentamento economico?

Si tratta di una grande incognita. Attualmente esiste una discrepanza tra la solidità dei mercati del lavoro, con i loro tassi di disoccupazione piuttosto bassi, e il rapido peggioramento degli indicatori economici principali. Ci sono diverse spiegazioni possibili. Finora le finanze delle aziende sono abbastanza solide da impedire loro di licenziare i lavoratori, soprattutto perché avrebbero difficoltà a trovare sostituti qualificati. La carenza di manodopera, che fa salire i salari, è una delle principali preoccupazioni della Fed. Più in generale, negli ultimi mesi le previsioni di crescita sono state riviste nettamente al ribasso. Il consenso calcolato da Bloomberg prevede ora una crescita globale di poco inferiore al 3,0% nel 2022, di cui l’1,6% negli Stati Uniti, poco meno del 3,0% nella zona euro e circa il 3,0% in Cina. Per l’anno prossimo, tali previsioni sono ora pari, rispettivamente, al 2,5%, allo 0,9%, allo 0,2% e al 5,0%, ma a nostro avviso sono soggette a seri rischi di declassamento. In considerazione di ciò, possiamo aspettarci revisioni al ribasso delle previsioni sugli utili aziendali, soprattutto per il prossimo anno. Per il momento, le previsioni sono ancora in territorio positivo, tra il +5% e il +10% per il 2023. I mercati azionari hanno già scontato tutto questo e le valutazioni nel complesso sono scese piuttosto in basso.

3 – Il dollaro smetterà di crescere?

I mercati valutari sono particolarmente volatili. Ciò non è una buona notizia per la fiducia generale e sta portando a forti oscillazioni sui mercati obbligazionari, oltre che a interventi da parte di diverse banche centrali per difendere le loro valute. L’accelerazione della stretta monetaria da parte della Fed ha fatto impennare il dollaro e compresso diverse valute. Negli ultimi giorni, il dollaro ha toccato livelli mai visti negli ultimi 20, 30 o 40 anni, passando sotto la parità rispetto all’euro per la prima volta dal 2001, a 0,95. Contro lo yen, il dollaro ha superato quota 145, costringendo la Banca del Giappone a intervenire. Anche lo yuan cinese è sotto pressione, essendo sceso di quasi il 12% rispetto all’anno precedente e si sta avvicinando a 7,2 per un dollaro, un punto raggiunto solo tre volte negli ultimi 12 anni. La sterlina è ai minimi dal 1985 rispetto al dollaro. L’aumento del dollaro sta esercitando pressioni anche su molte valute dei mercati emergenti e sui prezzi dell’oro. Abbiamo la sensazione che, anche in questo caso, la maggior parte dei guadagni del dollaro sia alle spalle. Il dollaro inizia a essere costoso sui fondamentali.

4 – Contesto geopolitico internazionale

L’anno è iniziato in modo terribile in termini di relazioni internazionali. L’invasione dell’Ucraina ha colpito nel segno e ci ha ricordato che il desiderio di conquista territoriale si nasconde sotto la superficie di quasi tutto il mondo.

La Cina è ancora strettamente dipendente dai suoi clienti europei e statunitensi, soprattutto in un momento in cui il suo tasso di crescita si avvicina al 3% quest’anno, un minimo da 40 anni, a causa della crisi immobiliare e della sua politica “zero-Covid”. Riteniamo quindi che, dopo aver dedicato diversi anni alle preoccupazioni politiche, questioni più concrete torneranno ad essere la priorità del Presidente Xi Jinping. Invadere Taiwan in questo momento sarebbe militarmente ed economicamente rischioso. Questo è uno dei motivi per cui la Cina ha cambiato tono nei confronti della Russia.

Si spera in misure pragmatiche per sostenere l’economia. Ciò innescherebbe anche uno spettacolare rimbalzo dei mercati azionari cinesi, che gli investitori internazionali hanno abbandonato. Anche la nomina degli altri sei membri del Politburo sarà determinante. Se si dimostreranno persone più attente agli affari economici, sarà un buon segno. Nel frattempo, il vertice del G20 che si terrà a novembre in Indonesia sarà l’occasione per Joe Biden e Xi Jinping di incontrarsi personalmente, forse in un contesto più rilassato.

Conclusioni:

Ci sono molte ragioni per essere pessimisti. Ma crediamo che i mercati abbiano già previsto uno scenario negativo. Potrebbero recuperare al minimo segnale positivo, poiché vediamo una certa asimmetria nei rischi a breve termine. Riteniamo che questa fase di correzione dei titoli obbligazionari e azionari possa essere un’opportunità per reinvestire, tenendo presente che i mercati rimarranno altamente volatili e che si dovrebbe assumere solo un’esposizione moderata, che può essere mantenuta per qualche tempo, per sicurezza.

Il nostro scenario centrale:

I mercati stanno ora valutando una stretta aggressiva da parte della Fed e della BCE fino all’aprile 2023, seguita da una stabilizzazione nel resto dell’anno. I rendimenti delle obbligazioni a lungo termine si sono adeguati di conseguenza, raggiungendo livelli che, a nostro avviso, prezzano più le azioni delle banche centrali che la recessione che esse causeranno.

Alla luce dell’incombente recessione e del probabile calo degli indici d’inflazione nei prossimi mesi, adottiamo un po’ di esposizione a questi livelli di rendimento, poiché riteniamo che abbiano già completato la maggior parte del loro aggiustamento. Allo stesso modo, le obbligazioni societarie continuano ad apparire interessanti, soprattutto sulle sezioni brevi. Anche le azioni sembrano aver prezzato la maggior parte dello scenario peggiore, creando così un’asimmetria al rialzo. Per questo motivo aumentiamo la nostra esposizione azionaria a medio termine.

Prima di assumersi questo rischio, l’investitore deve assicurarsi di avere i mezzi per mantenere la sua esposizione, o addirittura per aggiungerla in caso di un nuovo ribasso, eventualità che non possiamo escludere in questo momento, data l’elevata volatilità del contesto in cui operiamo, soprattutto in vista dell’inverno.

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