Mercati, azionario: ecco i possibili perchè del mini-rally

Come sempre più spesso accade, gli analisti si ingegnano a posteriori nel trovare una spiegazione all’attuale, inattesa, reazione positiva del comparto azionario, per altro coadiuvata da un significativo indebolimento del dollaro, ora in area 0,985 contro euro, e da un rilassamento delle persistenti pressioni viste sul reddito fisso nelle giornate trascorse.

C’è chi indica la ragione in un “bear market rally” affidandosi ai dettami dell’analisi tecnica, chi vede nella prospettiva di buone trimestrali (molto positiva, ad esempio, quella di BofA) le fondamenta per una riscossa dei listini, chi punta il dito sulle cattive notizie (il NY FED Empire Index ha accusato una decisa contrazione) che, in un contesto in cui una recessione entro i prossimi 12 mesi pare scontata al 100% (almeno secondo le rilevazioni di Bloomberg), potrebbero rappresentare la tanto agognata leva per far desistere la FED dalle sue intemperanze restrittive.

In realta, almeno a mio modesto parere, i mercati hanno festeggiato il fatto di aver fatto capitolare il Regno Unito; in un invero imbarazzante voltafaccia, il nuovo cancelliere britannico ha infatti ritirato praticamente tutti i progetti di tagli fiscali e sussidi alle famiglie lanciati dal suo recente predecessore non più tardi di qualche settimana fa, il premier in carica appare politicamente azzoppato, la BoE ritarda l’operazione di Quantitative Tightening per dare modo al perturbato mercato dei Gilts di stabilizzarsi. I mercati quindi vedono finalmente ristabilita la loro apparentemente perduta influenza sui decisori di politica economica, il che ovviamente è un qualcosa che desta ottimismo in vista del braccio di ferro che li vede ormai da tempo, e senza invero grandi successi, anteporsi alle politiche monetarie della FED.

Tuttavia, sebbene la banca centrale americana sia l’avversario più ostico, non è certo l’unico sullo scacchiere internazionale, basti pensare alle consistenti pressioni sullo yen giapponese (e la politica espansiva alla base del suo indebolimento), con quotazioni non troppo lontane dal critico livello 150 contro dollaro, oppure alle potenziali pressioni sugli spread che potrebbero originarsi in Italia una volta (finalmente) varato il nuovo Governo di centro destra che indubbiamente poco piace all’establishment europeo.

Chi di certo non si fa intimidire dai mercati è la Cina, che a discapito delle proiezioni della vigilia conferma in sede congressuale la sua stretta osservanza al regime draconiano di lotta al Covid segnalando al contempo che l’annessione di Taiwan è solo questione di quando, non certo di se… L’economia cinese non naviga certo in acque tranquille in questi mesi, specie se guardiamo al travagliato settore immobiliare, con le obbligazioni a più basso rating che hanno ancora una volta segnato ieri i minimi record.

Pechino tuttavia non ha alcuna intenzione di farsi rovinare la festa dalle deboli risultanze economiche, e decide di posticipare a data da definirsi la pubblicazione degli importanti dati macro attesi (tra cui il PIL previsto in calo al 3,3% contro l’obiettivo ufficiale posto al 5,5%, il che sarebbe il più ampio scostamento a far data dai primi anni ‘90).

Al tempo stesso Pechino chiude anche alle spedizioni di gas LNG in Europa al fine di poter stoccare riserve sufficienti a superare l’inverno, mettendo ancora più in predicato le prospettive di approvigionamento nel Vecchio Continente, e penso che la drastica decisione dei tedeschi di estendere il ciclo di vita delle tre rimanenti centrali nucleari fino all’aprile 2023 (grazie anche al placet di Greta) sia indicativo delle preoccupazioni relative all’approvigionamento energetico nei mesi a venire.

A cura di Michael Palatiello, ad e strategist di Wings Partners Sim

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