Mercati: i rischi da monitorare in questa fase di parziale recupero

Due sono i dati dell’economia USA da monitorare per cercare di capire le mosse della FED: l’inflazione e la disoccupazione. L’inflazione di settembre, pari all’8,2%, pur risultando in calo rispetto all’8,3% di agosto, resta comunque su livelli piuttosto elevati in assoluto. Il presidente Biden ha provato a gettare acqua sul fuoco dicendo che il dato è in progresso, anche se resta ancora del lavoro da fare. I mercati sono tuttavia preoccupati soprattutto dal dato al netto delle componenti più volatili quali energia e alimentari (core), cresciuto dal 6,3 al 6,6%, raggiungendo i massimi degli ultimi 40 anni.

Gli investitori stimano che la leggera flessione del dato generale, non seguita dal dato core, non sia sufficiente per spingere Powell ad allentare la stretta monetaria e quindi si aspettano che la FED aumenterà nuovamente i tassi di 75 bp nel meeting del 2 novembre. D’altra parte dai verbali della riunione della banca centrale del 20-21 settembre è emersa una FED più determinata che mai a fermare un’inflazione ritenuta inaccettabile.

Quanto alla disoccupazione, sappiamo che a settembre questa è risultata pari al 3,5% (in ulteriore flessione rispetto al 3,7% di agosto). Nessun economista ha mai visto negli USA una recessione con il 3,5% di disoccupazione e questo conferma le dichiarazioni dei membri più falchi del FOMC: il presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic, ha infatti dichiarato che vorrebbe vedere i tassi tra il 4% e il 4,5% entro la fine del 2022, mentre quello delle FED di Minneapolis, Neel Kashkari, ha sostenuto che FED ha ancora del lavoro da fare per contenere l’inflazione. Al momento quindi le speranze che la FED diventi meno falco sono molto basse.

Tecnicamente o meno, gli USA sono in recessione. Potrebbe tuttavia essere una strana recessione, che dopo un periodo non molto lungo porterà ad un riassetto positivo dell’economia. Vedremo.

I mercati potrebbero essersi già accorti dello scenario che si va delineando, visto che gli indici della Borsa USA sono in netta ripresa. Inoltre, dai dati del 3Q22, sembrerebbe che le grandi imprese (specialmente quelle dell’high tech) siano state poco toccate dai due trimestri di PIL negativo (fra tutte Netflix) e che di fatto stiano anche facendo da traino al settore industriale. Pure i servizi sono in fase di crescita dopo la flessione subìta nei momenti peggiori della pandemia.

Quali sono i rischi?

Il primo è quello di fare i conti senza l’oste (Putin). Difficile prevedere la fine del conflitto, anche se ci sono segnali che i due contendenti (l’altro è Biden) potrebbero sedersi al tavolo e trattare la fine delle ostilità. Secondo, l’inflazione, la cui lenta flessione evidenzia che orami si è ben radicata nell’economia e che quindi richiederà più tempo per avvicinarsi all’obiettivo del 2%, facendo più danni di quelli prevedibili al momento. Terzo, l’ulteriore deterioramento della qualità degli assets finanziari che durante la pandemia hanno beneficiato di misure temporanee e che appaiono ora particolarmente vulnerabili al peggioramento del contesto economico.

I rischi di solito si portano dietro un aumento della volatilità, che occorre gestire. Come argomentavamo ieri, la volatilità che di solito caratterizza queste fasi, se ben gestita non è per forza un male ma può invece favorire una gestione attiva. Questo vuol dire mantenere un contatto costante con le società in portafoglio e adottare un approccio bottom up che vada a privilegiare lo stock picking.

Le caratteristiche da tenere in considerazione sono: livelli bassi di indebitamento; marginalità sostenibile e vantaggi competitivi chiari; controllo delle catene di fornitura (preferibilmente corte). Caratteristiche che per le piccole e medie imprese è più semplice rispettare, grazie alla maggiore agilità e flessibilità operativa e decisionale.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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