Mercati, trimestrali: questa volta l’Europa batte gli Stati Uniti

Stati Uniti ed Europa si trovano ad affrontare due inflazioni differenti tra loro. In Usa l’aumento dei prezzi è in gran parte dovuto ai colli di bottiglia sui trasporti, sulla produzione e a una domanda troppo vigorosa. La Fed ha così cominciato ad alzare i tassi per cercare di ridurre l’inflazione; tuttavia, l’economia è rimasta forte, trainata dall’export, dai consumi privati e dal mercato del lavoro.

Quest’ultimo, infatti, si è mostrato ancora solido, con i salari che sono aumentati di oltre il 5% rispetto allo scorso anno; inoltre, sempre più contratti sono e saranno indicizzati all’inflazione, con i minimi salariali anch’essi in aumento, alimentando ulteriormente la crescita del caro vita.

All’aumento dei salari si aggiungono le aspettative di inflazione: sempre più persone, si attendono un aumento dei prezzi per i prossimi mesi e ciò porta consumatori e imprese a comprare di più ora e a negoziare salari più alti, aumentando automaticamente l’inflazione stessa (spirale prezzi-salari). In Europa invece, la situazione è differente.

Nel Vecchio Continente, infatti, l’incremento dei prezzi è principalmente dovuto a una contrazione dell’offerta, in particolare di energia e materie prime. In Italia ad esempio, l’inflazione ad ottobre ha quasi raggiunto il 12 %, il livello più alto mai toccato dal 1984.

Questa situazione rende il compito della Bce molto più complesso, con i continui aumenti dei tassi (l’ultimo di 75 bps questo giovedì) che potrebbero non essere la soluzione migliore per ridurre l’incremento del caro vita. Inoltre, la dinamica che lega salari e inflazione risulta essere diversa da quella statunitense. Nell’Eurozona durante il 2022 i salari reali, ovvero al netto dell’inflazione, si sono ridotti infatti del 2,5%. In aggiunta, ci sono pochi segnali che la rapida inflazione possa tradursi in una spirale prezzi-salari.

Le modalità con le quali saranno condotte le politiche monetarie nei prossimi mesi, ovvero ulteriori movimenti sui tassi e la riduzione dei bilanci delle Banche centrali, saranno quindi fondamentali per la credibilità della Bce, della Fed e per le stesse aspettative di inflazione; è assolutamente necessaria la piena complementarietà delle politiche fiscali con quelle monetarie. Lanciare segnali contraddittori o confusi, di nuovi deficit di bilancio o di deviazione dalla strada da seguire, contribuirebbe a ridurre la credibilità degli obiettivi antinflazionistici, come accaduto nel Regno Unito nelle ultime settimane.

Trimestrali tra futuro e incertezze

Siamo nel pieno della stagione delle trimestrali e le principali società quotate nel mondo hanno iniziato a presentare i conti per il trimestre chiuso al 30 settembre. I risultati che si possono analizzare rivelano due scenari differenti tra loro, quello europeo e quello americano. Gli utili del terzo trimestre 2022 delle società europee hanno, infatti, superato in media le attese. Hanno contribuito a tale risultato da un lato l’elevata esposizione al settore energetico, che impatta per 11 punti percentuali sulla crescita degli utili; dall’altro i cambi, con l’euro che ha sfiorato il valore più basso su base annua dal 2015.

L’attività dovrebbe, però contrarsi nei prossimi trimestri. Inoltre, potrebbe rimanere depressa fino al 2° trimestre del 2023. I rischi di razionamento del gas e dell’elettricità durante l’inverno sono significativi, nonostante gli sforzi dei governi per diversificare le fonti e per limitare gli effetti negativi di alti prezzi del gas e dell’elettricità. Per il 2023 gli analisti prevedono rischi al ribasso per gli utili, in particolare per le società più cicliche. Il maggior ottimismo invece, riguarda la crescita dei ricavi per le aziende retail di Internet e direct marketing, quelle energetiche, del tech e del settore di difesa e aerospazio.

Negli Stati Uniti invece, Microsoft, Alphabet, Amazon e Apple deludono le attese. Anche Meta ha rilasciato dati al ribasso, con i conti che mettono in evidenza una flessione del fatturato e previsioni di un nuovo calo delle vendite per il quarto trimestre dell’anno. Dietro il rallentamento della redditività delle principali aziende americane si trovano principalmente l’aumento della pressione salariale, le molte assunzioni, i costi della catena di approvvigionamento e i tassi di cambio sfavorevoli.

Un dollaro forte, infatti, rende più costoso per le aziende americane vendere beni e servizi in altri Paesi, riducendo così le esportazioni e generando perdite nei bilanci delle società. Hanno fatto bene, invece, le grandi banche di investimento quali Bank of America, Citigroup, Morgan Stanley e Wells Fargo. Per il prossimo anno si temono, però, rischi al ribasso per oltre il 70% dei settori e utili al rialzo per banche, assicurazioni e utilities. Ad esempio, Amazon si aspetta che le entrate siano comprese tra $140 miliardi e $ 148 miliardi nel prossimo trimestre, inferiori a quanto previsto dal consenso; i clienti potrebbero limitare la spesa per il resto dell’anno. Anche Apple, in scia, prevede una domanda in calo per i prossimi mesi e più in particolare per gli ultimi modelli di Iphone.

Tuttavia, secondo gli analisti le principali banche statunitensi potrebbero registrare ricavi superiori alle previsioni in quanto sono molto diversificate e contestualmente potrebbero beneficiare di margini di interesse più elevati, dovuti ai continui rialzi dei tassi.

A cura di Giacomo Calef, Country Manager di NS Partners

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