Mercati, dollaro: ecco cosa potrebbe riservare il futuro

Sin dal picco di metà settembre a circa 114, il Dollar Index è ancora in fase di deprezzamento. Calo dovuto in parte all’allentamento dell’inflazione statunitense che potrebbe portare a un rallentamento del ciclo di inasprimento monetario della Fed. Ma il dibattito non è ancora chiuso.

Esistono due schieramenti

Il primo ritiene che il dollaro abbia già raggiunto il suo picco in questo ciclo e continuerà a scendere verso quota 100, prevedendo al tempo stesso un rapido calo dell’inflazione negli Stati Uniti nei prossimi mesi, alleviando le tensioni del mercato. Il secondo, invece, ritiene che il deprezzamento sia soltanto una fase temporanea e che il Dollar Index possa tornare ad apprezzarsi se i rischi associati alla recessione globale si concretizzeranno.

Una visione condivisa anche da iBanFirst: “Siamo convinti di trovarci di fronte a un universo economico in cui il dollaro rimarrà forte per un lungo periodo e potrebbe superare quota 115. In base al tasso di cambio effettivo reale (che misura la valutazione di una valuta rispetto a un’altra), il dollaro USA è sopravvalutato del 34% rispetto all’euro, ad esempio. Si tratta di un massimo storico” ha spiegato Michele Sansone, Country Manager di iBanFirst in Italia.

I fattori determinanti alla base del Dollar Index attorno a quota 115

In termini assoluti, l’inflazione continua a preoccupare. È vero che negli Stati Uniti l’inflazione si sta attenuando rispetto al picco raggiunto lo scorso giugno, lo confermano sia l’indice dei prezzi al consumo (7,7% su base annua in ottobre) sia l’indice dei prezzi alla produzione (8% su base annua nello stesso periodo), ma il punto di partenza (intorno al 10%) non lascia tecnicamente altra scelta alla Fed se non quella di continuare a stringere la politica monetaria nei prossimi mesi (anche se la crescita dovesse rallentare) per tornare all’obiettivo esplicito del 4%.

Il deficit commerciale degli Stati Uniti è il motore di un dollaro forte (73,3 miliardi di dollari lo scorso settembre). Gli americani distribuiscono un’enorme quantità di dollari per le loro importazioni (semiconduttori, prodotti farmaceutici ed elettronici, in particolare), e una parte di questi dollari viene riciclata sul mercato statunitense da stranieri in cerca di rendimento e sicurezza. Si tratta di un fenomeno che abbiamo già visto nei periodi di crisi passati e che si sta ripetendo.

Gli Stati Uniti sono meno penalizzati dalla crisi energetica: questo Paese sta soffrendo meno di molte altre economie sviluppate a causa della crisi energetica. Si tratta di uno sviluppo nuovo. Gli Stati Uniti hanno un proprio accesso al petrolio e alle risorse energetiche e, se necessario, possono prosciugare le riserve strategiche di petrolio per contenere l’impennata dei prezzi. Questo è ciò che la Casa Bianca ha fatto da settembre 2021 (per un totale di 212 milioni di barili rilasciati in quel periodo).

La ripresa dei casi di Covid in Cina rappresenta infine un’altra spiegazione dell’apprezzamento del dollaro per effetto domino. Se prima del Covid la Cina contribuiva alla crescita mondiale per circa il 30%, da allora il contributo è sceso al 10%. Ciò significa che, a differenza della crisi del 2007-08, questa volta il Paese non salverà l’economia mondiale. Inoltre, i periodi di turbolenza economica tendono ad essere sinonimo di dollaro forte.

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