L’aumento dei tassi di interesse di 375 bp da gennaio ha portato a un calo dell’inflazione (anche se rimane elevata come ha ricordato recentemente Powell), la disoccupazione è nell’intorno del tasso naturale (praticamente tutti gli americani sono occupati) e il PIL del 3° trimestre 2022 è cresciuto del 3,2% grazie anche alla dinamica del +2,3% di consumi personali (nel 4° trimestre 2022 è atteso comunque in rallentamento del PIL).
I dati indicano che tutto sommato il sistema economico potrebbe reggere ulteriori aumenti di almeno 100/150 bp (tra cui è probabile il primo da 50 bp nel prossimo meeting del 25/36 gennaio), planando verso un soft landing e con una disoccupazione che salirebbe al 4%. Questo consentirebbe probabilmente di accelerare il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione del 2%.
Se lo scenario è quello delineato, allora perché l’economia si trova in una fase delicata?
Crediamo per diversi motivi, il primo è che pilotare una recessione facendo planare il sistema economico verso un soft landing, contenere la disoccupazione e guidare la crescita dei prezzi verso un equilibrio stabile, non è cosa banale e la situazione potrebbe facilmente “scappare di mano”.
Il secondo motivo riguarda la disoccupazione prevista. I licenziamenti che, secondo le recenti notizie di stampa, le principali società tecnologiche e del fintech USA si apprestano a fare nel 2023, potrebbero far crescere la disoccupazione oltre il 5% e per questa via ridurre i consumi in modo violento.
Last but not least, lo schock inflattivo potrebbe avere un effetto di trascinamento nel tempo maggiore di quello che ad oggi è possibile prevedere. Da un recente studio di Deutsche Bank emerge per esempio che quando il tasso di inflazione si spinge oltre l’8%, ci vogliono poi almeno due anni per farlo scendere sotto il 5-6%. Ovviamente cont tutte le implicazioni economiche che questo comporta.
Le implicazioni per il 2023 indicano in tutti i casi un indebolimento del dollaro che, contro l’euro, potrebbe tornare a 0,9. Dollaro debole normalmente significa che le valute dei mercati emergenti tendono ad aumentare il proprio valore (anche se recentemente sembra che il dollaro si sia indebolito soprattutto a spese di altre valute forti come l’Euro, lo Yen e il Franco Svizzero).
Un dollaro debole è anche positivo per il prezzo del petrolio che tende ad avere una relazione inversa con il costo del biglietto verde. Da valutare tuttavia in questa fase come la recessione più o meno lunga e profonda in Europa e negli USA potrebbe influire sul prezzo al barile e anche come potrebbe evolversi la situazione politica nell’IRAN.
A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim