Mercati in attesa del dato sull’inflazione Usa

I mercati finanziari stanno aspettando di verificare se anche in dicembre l’inflazione USA, che sarà rilasciata giovedì 19 gennaio, ha continuato il suo cammino di discesa: la stima prevede un rallentamento della dinamica di crescita al 6,5% (dal 7,1% di novembre).

Se anche le attese fossero confermate, crediamo tuttavia che Powell alzerà i tassi di 50 bp. Del resto, più volte lo ha fatto capire ai mercati parlando di inflazione decisamente ancora sopra le attese, soprattutto quella core al 6%, nonostante la fase disinflattiva in atto. Tra l’altro, come argomentavamo ieri, il sistema economico USA sembrerebbe poter reggere aumenti di ancora 100 bp senza contraccolpi significativi sulla crescita e l’occupazione.

Quello che in qualche modo ci stupisce maggiormente in questa fase è il silenzio della BCE sulla possibile evoluzione dell’economia Europea. Al fine di assicurare il raggiungimento dei propri obiettivi, è necessario infatti che la BCE garantisca una trasmissione fluida della politica monetaria in tutta l’Unione, calibrando la politica dei tassi d’interesse.

Per fare questo è fondamentale fornire al mercato una forward guidance e gli acquisti/riduzione delle attività in modo da orientare la curva dei rendimenti (non rimanendo dietro), prevenendo al contempo i picchi dei tassi d’interesse e i movimenti anomali dello spread (è sempre meglio prevenire che curare). Purtroppo però lo scorso luglio, dopo aver cambiato idea sull’entità dell’aumento dei tassi indicata solo un mese prima al mercato, la BCE ha deciso di abbandonare questa prassi, sostituendola con lo strumento del TPI che implica però una forte discrezionalità. Oltre che intervenire una volta che l’evento si è verificato e non prima (come farebbe la forward guidance) producendo quindi già degli effetti sui mercati.

Crediamo che la sfida maggiore che l’Europa sarà chiamata a vincere nel 2023 sia rappresentata dalle tensioni sul mercato energetico che al momento sembrano sotto controllo, ma che a marzo / aprile con i nuovi stoccaggi di gas, potrebbero nuovamente esplodere (nonostante una flessione media strutturale dei consumi che in Europa sfiora il 20%).

Oltre che ad un rialzo dei prezzi dell’energia, l’aumento del livello generale dei prezzi è anche legato alle problematiche delle catene del valore che hanno caratterizzato l’economia mondiale a partire dalla fase acuta della pandemia nel 2020. L’invasione della Russia all’Ucraina si aggiunge ad una situazione di per sè già molto complessa, in cui la disomogeneità della ripresa economica post pandemia ha creato dei colli di bottiglia nella fornitura di componenti e input fondamentali per l’attività economica.

L’aumento dei prezzi non si limita però alle sole materie prime legate all’energia: il prezzo del grano è per esempio più che raddoppiato nell’ultimo anno, mentre il prezzo dell’olio di palma ha registrato un aumento di circa il 71% negli ultimi 12 mesi.

Ovvio che l’aumento dei prezzi dell’energia e gli strascichi che questo comporta non dipendono dalla BCE. Occorrerebbe però capire quali potrebbero essere gli scenari di inflazione e quindi di riflesso la politica monetaria, se per esempio il prezzo del gas tornasse stabilmente intorno a 180 euro al MWh o se le catene di approvvigionamento tornassero ad irrigidirsi.

Una stretta monetaria ha infatti anche evidenti effetti di spillover sulle altre economie. E’ noto che l’aumento dei tassi di interesse da parte della FED ha un forte impatto a livello globale, quali un calo dell’offerta di credito, forti riduzioni dei flussi di credito internazionali e l’inasprimento generale delle condizioni finanziarie. E questo aggiunge ulteriore incertezza allo scenario economico complessivo, rendendo ancora più complesse le decisioni della FED e della BCE.

Intanto, come abbiamo già avuto modo di sperimentare, il cammino verso la normalizzazione della politica monetaria e quindi verso tassi reali positivi ha avuto l’effetto immediato di aumentare il costo del debito per famiglie ed imprese e per questa via aprire le porte ad una flessione dell’attività economica. E più la politica monetaria mantiene il sistema economico in squilibrio, maggiori sanno le ripercussioni sulla crescita.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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