Mercati, Fed: Powell sarà falco o colomba? Stasera la risposta

Stasera sapremo se Powell continuerà sulla strada tracciata lo scorso febbraio, oppure se i recenti dati lo hanno fatto diventare meno “falco”.

Ci aspettiamo un rialzo di 50 punti base, contrariamente al mercato che stima 25 punti. Siamo infatti convinti che lo scetticismo di diversi membri del FOMC sulla rapidità con cui l’inflazione è attesa scendere continui a tenere sotto pressione la banca centrale e la spinga a mantenere un atteggiamento da falco. E questo anche per scongiurare la speculazione dei mercati che si aspettano che la FED fermi la sua campagna di inasprimento monetario (è noto tuttavia che in questa fase la FED e i mercati non vadano tanto d’accordo).

Al di là dell’aumento che verrà deciso, siamo convinti che rivesta particolare importanza il sentiment della FED sulla dinamica della crescita dei prezzi e la possibilità di una recessione.

Quale potrebbe essere il messaggio che lancerà Powell?

Nel riconoscere un indebolimento dell’economia, Powell si impegnerà probabilmente a mantenere la rotta ed a tenere una politica restrittiva fino a quando l’inflazione non sarà tornata in modo convincente verso l’obiettivo del 2%

L’inflazione attuale tuttavia, a differenza di quelle sperimentate nel passato, è decisamente più vischiosa.

Crediamo quindi che Powell continuerà ad aumentare il tasso sui Fed Funds almeno fino al secondo trimestre 2023, portandolo al 5,5%. Questo significa che il picco dei tassi potrebbe verificarsi verso il secondo trimestre. Non vediamo quindi una veloce dinamica di riduzione degli aumenti, ma viceversa molto graduale. Nei cicli passati infatti, la FED poteva permettersi dinamiche diverse, fino ad arrivare ad un taglio dei tassi perché il PCE core era nell’intoro del 2%. Ma ora siamo al 5% e il rischio che le dinamiche di riduzione degli aumenti siano più lente diventa sempre più concreto, anche dentro una recessione.

Crediamo che Powell non ritenga opportuno in questa fase che i mercati interpretino il ritmo più moderato di crescita dei tassi come un segnale di una svolta di politica monetaria. Motivo questo per il quale, tra l’altro, non manca mai di sottolineare che occorre lavorare per riportare l’inflazione verso l’obiettivo e che, per farlo, la politica dovrà rimanere restrittiva a lungo.

Certo, non sarà facile andare d’accordo con i mercati che già cominciano a scontare due tagli dei tassi di 25 punti ciascuno nel corso dell’anno, sulle aspettative di un atterraggio morbido e tutto sommato indolore per la crescita economica. L’aggiustamento verso l’equilibrio potrebbe infatti essere più difficoltoso del previsto e, in assenza di una flessione della crescita economica che contribuisca a ridurre la dinamica dei prezzi, la FED dovrà gioco forza essere ancora falco e magari più a lungo di quello previsto dal mercato, per affrontare in modo convincente il problema dell’inflazione.

Si ripropone quindi il dibattito sul timore che la FED aumenti troppo i tassi, commettendo l’errore che fu di P. Volcker. Sebbene non ci aspettiamo che l’inflazione si riduca in modo lineare, ma anzi persistano molti venti contrari, il rallentamento dell’economia, unito al deterioramento del mercato del lavoro e alla diminuzione delle pressioni salariali, potrebbe comunque indurre la FED a modificare in un qualche momento del futuro la politica monetaria e fare almeno una pausa prima di raggiungere la fascia di tassi del 5,25-5,5%. Al momento però tutti gli indicatori segnalano un’economia forte e in salute e in cui i prezzi, probabilmente, faticheranno a scendere in modo stabile  .

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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