La Fed alza i tassi come da copione, la reazione dei mercati. Oggi il turno della Bce

Ieri Powell ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base, portando l’ammontare complessivo dei rialzi a 375 punti in poco meno di 12 mesi. La Fed ha quindi deciso di proseguire con la stretta monetaria iniziata lo scorso febbraio, anche se con un ritmo più moderato.

Nel corso della riunione i membri del FOMC hanno quindi fissato i tassi di riferimento in un intervallo compreso tra il 4,5% e il 4,75% (il maggiore livello dal 2007). La decisione è stata presa con il voto unanime dei membri del FOMC. Gli stessi hanno anche anticipato che ulteriori aumenti dei tassi saranno appropriati, con l’obiettivo di riportare l’inflazione al target del 2 per cento.

Oltre al rialzo dei tassi, la Fed ha inoltre ridotto le disponibilità del suo portafoglio obbligazionario di circa 445 miliardi di dollari da giugno (come noto, la Fed ha fissato un livello massimo di 95 miliardi di dollari di obbligazioni in scadenza non rinnova).

Ovviamente la Fed non rinuncia alla flessibilità, riservandosi la possibilità di aggiustare l’orientamento della politica monetaria, se emergessero rischi che potrebbero ostacolare il raggiungimento degli obiettivi. Le valutazioni del Comitato terranno di diversi dati, tra i quali le condizioni del mercato del lavoro, le pressioni inflazionistiche e soprattutto le aspettative di inflazione, nonché le dinamiche di sviluppo degli aggregati finanziari. L’inflazione, ha sottolineato Powell, dopo aver raggiunto il livello più elevato degli ultimi 30 anni, è leggermente diminuita ma rimane tuttavia elevata.

La reazione dei mercati

A Wall Street l’indice S&P 500 ha aggiornato il top da inizio anno a 4.150 punti e in Europa l’Euro Stoxx 50 è arrivato a quota 4.190, segnando anche in questo caso il nuovo massimo da inizio 2023.

L’euro/Dollaro ha oltrepassato la soglia tecnica e psicologia a 1,10 e l’oro sfiora ora i 1.955 dollari per oncia.

“Ma c’è un altro fatto importante che Powell ha sentito il bisogno di precisare in risposta ad una domanda – avverte Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim – ovvero quello secondo cui il Congresso sta alzando il tetto del debito, essendo l’unica strada percorribile per consentire al Governo federale di adempiere ai suoi obblighi. Ma nessuno dovrebbe aspettarsi che lo faccia anche la Fed che non può proteggere l’economia dagli effetti di un default.

I mercati guardavano al meeting in cerca di segnali che indicassero che la Fed avrebbe terminato presto gli aumenti dei tassi. Ma da questo punto di vista, Powell non ha dato nessun segnale. Chiariamo meglio il punto.

Nella riunione del FOMC dello scorso dicembre, i membri del comitato hanno indicato come il tasso in cui la FED ritiene che la politica monetaria sia sufficientemente restrittiva, fosse pari al 5,1%. Ma i mercati puntano su un valore più vicino al 4,75% e si aspettano che la Fed inizi a tagliare i tassi nel corso dell’anno, dopo un ulteriore aumento di un quarto di punto a marzo.

Abbiamo tuttavia colto un cambiamento nella comunicazione. La Fed ha  dichiarato che determinerà l’entità dei futuri aumenti dei tassi in base agli effetti prodotti dai rialzi precedenti, i ritardi con cui la politica monetaria ha un impatto sull’economia e gli sviluppi delle condizioni finanziarie. In precedenza, la Fed affermava che avrebbe utilizzato tali fattori per determinare il ritmo (non l’entità) dei futuri rialzi. Potrebbe essere il segnale che i mercati si aspettavano e che indica che la commissione vede la fine dei rialzi da qualche parte (secondo semestre ?) o comunque una continuazione di rialzi contenuti.

Oggi è il turno della Bce

Oggi è il turno della Bce far capire ai mercati e agli investitori l’orientamento della politica monetaria. Non crediamo ci siano dubbi che la Lagarde possa alzare i tassi di 50 punti base considerato, tra l’altro, che l’inflazione sembra poter rialzare la testa.

La dinamica inflattiva continua infatti a rimanere elevata e a preoccupare i membri della Commissione. Non crediamo nemmeno che la Lagarde possa cedere di fronte alla levata di scudi di alcuni governi Europei (tra i quali l’Italia) contro ulteriori e cospicui aumenti dei tassi che finirebbero per accompagnare il sistema economico verso la recessione.

La BCE proseguirà per la propria strada fintanto che l’inflazione non avrà mostrato evidenti segnali di una significativa e stabile riduzione, anche se questo dovesse comportare una flessione del PIL (così almeno l’interpretazione delle parole della Lagarde).

 

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