Mutui, il tasso variabile supera il fisso

Il 2022, per i mutui, è sicuramente stato un anno difficile, e il 2023 non è di certo partito con il piede giusto. Tutta “colpa” della Bce, che ha continuamente alzato i tassi d’interesse: l’ultimo di 50 punti base a febbraio, con l’annuncio di una pari stretta anche a marzo. Con l’Euribor salito al 2,57% e il tasso Eurirs a 30 anni al 2,37%, il mutuo variabile a parità di spread costa di più: un sorpasso storico rispetto al fisso, non accadeva dal 2008. Nonostante questo, però, resta ancora una scelta “vincente”.

Come riporta Il Sole 24 Ore, infatti, Euribor – vale a dire gli indici in base ai quali viene calcolata la rata del mutuo variabile – sono agganciati al tasso sui depositi, che è più basso di 50 punti base rispetto all’altro tasso manovrato dalla Bce, quello di rifinanziamento principale, proiettato al 3,5%. Da qualche settimana l’Euribor a 3 mesi è più in alto rispetto all’Eurirs 30 anni (2,37%). Di conseguenza, a parità di spread applicato dalle banche, il variabile ha le carte in tavola per costare in più del fisso in partenza. L’ultima volta in cui è successo è stato proprio nel 2008.

Il mercato dei future ad oggi ipotizza un picco degli Euribor al 3,4% per fine anno e poi una discesa nel 2024-2025 sotto il 2,5%. Secondo gli analisti, il variabile resta ancora la scelta che conviene. Chi ha sposato questo ragionamento nel 2008 scegliendo allora un variabile che costava più del fisso ha avuto ragione. Perché di lì a qualche trimestre i tassi sono scesi e con essi le rate del loro mutuo. Per questo motivo c’è chi inizia a pensare che anche nel 2023 qualche aspirante mutuatario (o qualche mutuatario che sta valutando una surroga) possa optare per la scelta, sulla carta più aggressiva e rischiosa, di sposare il tasso variabile. Sposando la logica che governa gli ambienti finanziari, e cioè che prima o poi i prezzi (e anche i tassi) fanno ritorno alla media.

A detta della Bce, da marzo si valuterà l’evoluzione dell’inflazione prima di optare per altre strette. Questa potrebbe essere letta come una vicina inversione di tendenza, o per lo meno, come una frenata alla corsa al rialzo di questi mesi. Di conseguenza, quando i tassi si allontanano troppo dalla media, a tal punto che il variabile costa più del fisso sfidando le leggi del rapporto rischio/rendimento, il mercato inizia a popolarsi di quei coraggiosi che, mentre tutti scappano e si rifugiano su un fisso al poco conveniente 4 % scelgono di sposare la volatilità degli Euribor anziché bloccare un Eurirs comunque plafonato sui massimi degli ultimi 9 anni.

Da monitorare anche larelazione con gli Usa, in quanto la Fed ha abbassato i toni delle strette ed è ragionevole supporre che tra Usa ed Eurozona ci sia un differenziale di tasso intorno a 150-200 punti base. Di conseguenza è macroeconomicamente poco attendibile uno scenario in cui, se per ipotesi la Fed si dovesse fermare al 5-5,5%, la Bce la agganci. Per cui se l’America frena la corsa al rialzo (e lo ha già fatto), l’Europa non può fare altrimenti.

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