Comunismo all'americana

Appoggio in pieno le decisioni prese dal Direttore della FHFA, Lockhart, di mettere Fannie Mae e Freddie Mac sotto la conservatorship del Governo Federale e la decisione presa dal Segretario del Tesoro, Henry Paulson, di voler assicurare la continuità aziendale e finanziaria delle due società. Queste mosse, necessarie, aiuteranno a sostenere il mercato immobiliare statunitense e a promuovere la stabilità del nostro sistema finanziario. Sono inoltre a favore delle decisione del Tesoro di sostenere con nuovi acquisti il mercato dei titoli mortgage backed, fattore che fornirà supporto critico al mercato immobiliare in un momento di profonda instabilità”.

Con questo messaggio, il Presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, annuncia la ‘statalizzazione’ del settore mutui americano nonché il totale fallimento di un modello (quello della casa per tutti) concepito nel lontano 1938. Bisogna infatti tornare all’amministrazione Roosvelt per trovare l’anno di gestazione della due società, un tempo governative, poi privatizzate nel 1968 attraverso la cessione di parte del capitale a investitori istituzionali.

Esattamente 40 anni dopo la loro creazione, le due società tornano sotto l’egida del Governo Federale, colpite da una crisi immobiliare costata già mezzo trilione di dollari a banche e società erogatrici di mutui e che ne costerà altrettanti nei prossimi mesi. Per questo, dopo il nulla di fatto di metà luglio, Paulson ha deciso di ricorrere alle armi pesanti e congelare i due istituti.

La mossa, se come effetto principale ha quello di rassicurare il mercato finanziario e immobiliare, punta soprattutto a consolidare la fiducia dei grandi investitori che oggi controllano il debito di Fannie Mae e Freddie Mac.

Tra questi troviamo la Cina (sponsor principale del debito pubblico americano e che lo scorso anno ha speso oltre un ottavo del suo prodotto interno lordo nell’acquisto di obbligazioni americani) che nei mesi passati aveva fatto capire esplicitamente che se non fossero state prese misure concrete per salvaguardare i propri investimenti, avrebbe cambiato registro nei confronti della politica monetaria americana, ovvero la fine del dollaro come moneta di scambio internazionale.

Paulson, da grande banchiere e amico del Governo Cinese, ha così deciso per un semi-salvataggio dei due istituti che oggi controllano 5.000 miliardi di dollari di mutui statunitensi (un salvataggio tout court sarebbe stato troppo costoso anche per la Fed) forse nella speranza che prima o poi il mercato possa riprendere a camminare con le proprie gambe.

Ma il futuro sembra ancora incerto per gli Stati Uniti e il settore immobiliare a stelle e strisce.

Primo il salvataggio orchestrato da Paulson poggia su un terreno instabile che potrebbe trasformare l’intera operazione in uno dei peggiori buchi della storia statunitense (il Governo si è impegnato a comprare titoli privilegiati per miliardi di dollari e allo stesso tempo a riacquistare mutui a prezzi ‘vantaggiosi’).

Secondo, il piano dovrà presto scontrarsi con la nuova amministrazione che verrà eletta il prossimo novembre. E proprio su questo punto non si ha ancora modo di conoscere le intenzioni dei due candidati alla corsa Presidenziale, John McCain e Barack Obama, se e come vorranno intervenire sul disastrato sistema mutui-immobili.

Per ora l’operazione sembra un Tavor per i mercati finanziari e la ‘compagna’ Cina, sempre più legata a doppio filo con l’economia americana.

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