Investimenti, obbligazioni: attenzione ai rendimenti illusori

Anni di crescita economica debole e di quantitative easing hanno determinato una compressione dei tassi d’interesse, creando una scarsità di rendimento per tutti gli anni 2010. L’anno scorso, tuttavia, questa situazione si è capovolta grazie all’azione delle banche centrali, intervenute tardivamente per contenere i livelli incredibilmente elevati di inflazione globale.

Con l’impennata dei tassi di riferimento la liquidità è ridiventata un asset competitivo, il che ha provocato finalmente un calo delle valutazioni degli strumenti più rischiosi. Al tempo stesso, l’aumento dei rendimenti delle titoli di Stato, abbinato all’ampliamento degli spread creditizi, ha prodotto un’abbondanza di rendimento“. A farlo notare è Robert M. Almeida, Jr. Portfolio Manager e Global Investment Strategist di Mfs IM, che di seguito spiega nel dettaglio lo scenario fornendo il proprio outlook.

Un imminente spostamento dell’attenzione

Indipendentemente dal ritmo della decelerazione delle spinte inflazionistiche, le banche centrali si stanno avvicinando al picco dei tassi overnight. A nostro avviso, la combinazione di rendimenti relativamente elevati e spread creditizi normalizzati ha accresciuto l’attrattiva dell’obbligazionario, al punto tale che i portafogli multisettoriali orientati al reddito da me gestiti sono sovraesposti alle obbligazioni e sottoesposti alle azioni.

Tuttavia, con l’avanzare del 2023, ci aspettiamo che l’attenzione del mercato si sposti dai timori per l’inflazione, i tassi d’interesse e la duration alle apprensioni per il rallentamento dell’economia globale, gli utili, i profitti, i default obbligazionari, i fallimenti e così via.

L’aumento dei rendimenti, inoltre, non si traduce di per sé in una diminuzione del rischio. Negli ultimi anni il contesto dell’attività d’impresa è cambiato sotto molti aspetti. Ad esempio, dal punto di vista della generazione di cash flow, gli ostacoli più grandi ed evidenti sono rappresentati dall’aumento della spesa per interessi e del costo del lavoro, che riducono drasticamente il calcolo dei profitti.

Meno grave, ma non meno importante, sarà a nostro parere la crescente intensità di capitale che si aggiungerà all’elenco delle sfide per le imprese.

Facendo un passo indietro, la stagnazione economica degli anni 2010 è stata provocata, tra l’altro, dall’eccesso dei risparmi aziendali rispetto agli investimenti. In un contesto di crescita contenuta, le aziende hanno distolto i capitali dai progetti produttivi per “finanziarizzare” i rendimenti attraverso la distribuzione di dividendi più elevati, riacquisti di azioni e operazioni di fusione e acquisizione. Al contempo, la globalizzazione ha permesso alle imprese di esternalizzare la produzione verso i paesi a basso costo, incrementando ulteriormente la redditività. Tutto ciò ha provocato una diminuzione dell’intensità di capitale a livello globale nel corso del decennio.

Da allora il mondo è cambiato. Clienti, dipendenti e investitori chiedono alle imprese un comportamento diverso in molti settori: tra questi, un maggiore rispetto per l’ambiente e una maggiore attenzione ai diritti umani nell’ambito delle catene di approvvigionamento. Per ridurre le emissioni di gas serra, anche attraverso semplici passi, servono capitali, per non parlare dei costi ingenti associati all’ammodernamento di reti elettriche ultracentenarie e a grandi e onerosi progetti ecologici. Anche il passaggio alla deglobalizzazione e all’onshoring richiederà molti capitali. A nostro avviso, gli anni di spesa insufficiente lasceranno il passo ad anni di abbondanti investimenti. Tutto ciò modifica la futura traiettoria dei margini di profitto rispetto a quella degli anni 2010, e non credo che gli investitori ne abbiano tenuto conto.

Le apparenze a volte ingannano

Il rendimento cedolare medio di un’obbligazione high yield statunitense è prossimo al 10%. Quanti di questi mutuatari indebitati hanno progetti in grado di generare un rendimento complessivo superiore al 10% in un quadro di debolezza della domanda, costi operativi nettamente più elevati e aumento degli investimenti? In queste circostanze, le aziende capaci di adattarsi a un contesto di tassi d’interesse più elevati, realizzando al contempo risultati superiori ai loro alti costi del capitale, tenderanno a riacquistare le loro obbligazioni sottovalutate, mentre le altre andranno probabilmente in default. Di conseguenza, questi rendimenti del 10% potrebbero rivelarsi effimeri. In altre parole, sono “rendimenti illusori”.

Il passaggio dalla scarsità all’abbondanza di rendimento è uno sviluppo entusiasmante, che deve tuttavia essere affrontato con cautela. Gli aumenti dei tassi delle banche centrali sono finalizzati a ridurre l’inflazione e la domanda aggregata. In parole povere, il rialzo dei tassi rende il contesto operativo più difficile per le imprese e irto di tensioni economiche e finanziarie.

Se gli indici aziendali di leva finanziaria e di copertura degli oneri finanziari sembrano oggi “normali”, ciò è dovuto in gran parte agli elevati profitti del passato. Non credo che questo sia il modo giusto di inquadrare la situazione. Il debito e la leva finanziaria assumono la massima importanza nei periodi di tensione sui bilanci. Ritengo che la riduzione dei profitti e dei margini (i cui tempi e la cui entità mi sembrano incerti) sarà accompagnata da stress finanziario ed eventi di credito. Di conseguenza, le imprese più deboli che hanno contratto debiti in misura superiore alle loro possibilità potrebbero non riuscire a fornire i rendimenti obbligazionari promessi.

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