Mercati, Cina: non è tutto oro ciò che luccica

Temo che la riapertura della Cina possa non essere una buona notizia per i mercati finanziari in generale“. L’avvertimento arriva da Fabrizio Quirighetti, Cio di Decalia, che di seguito spiega nel dettaglio le ragioni.

Se da un lato è certamente positiva per quanto riguarda l’andamento della crescita globale, soprattutto in Asia, dall’altro probabilmente eserciterà alcune pressioni al rialzo indesiderate sui prezzi delle materie prime, che potrebbero poi riflettersi sull’inflazione complessiva in tutto il mondo in un momento in cui le banche centrali dei mercati sviluppati stanno cercando di domarla.

Se è vero che finora non ci sono state prove concrete di una ripresa significativa della domanda cinese di energia e metalli di base, la situazione potrebbe cambiare radicalmente nel secondo trimestre. La mancanza di evidenze è certamente dovuta al fatto che, nonostante la rapida riapertura, l’attività e la mobilità non hanno ancora raggiunto la completa velocità pre-covid, le scorte tendono ad aumentare durante il nuovo anno cinese (che quest’anno è probabilmente durato più a lungo) e il Governo non si è imbarcato (ancora?) in un massiccio piano di incentivazione.

Tuttavia, sospetto che la ripresa della domanda cinese dovrebbe iniziare presto, con il ritorno di obiettivi di crescita molto ambiziosi da parte del governo cinese. In altre parole, stiamo passando da 2-3 anni di forti venti contrari, dovuti alla riduzione della leva finanziaria, alle restrizioni normative, allo sgonfiamento del settore immobiliare e alla politica generale di zero-covid, a venti di coda più favorevoli.

I primi segnali di ripresa sono già visibili con il recente rimbalzo degli indici PMI a gennaio e, cosa forse ancora più sorprendente, con l’accelerazione della crescita di M2 nell’attuale contesto di inasprimento della politica monetaria globale…

Supponendo che l’attività economica continui a reggere in Europa e negli Stati Uniti, dato lo spostamento strutturale verso i veicoli elettrici e le energie rinnovabili in generale e la conseguente spinta verso alcuni metalli industriali e la mancanza di investimenti in nuove attività estrattive, nonché gli attuali bassi livelli di scorte per several industrial metals, potremmo trovarci di fronte a una crisi dell’offerta se l’economia cinese dovesse riaccelerare fortemente.

In questo contesto, per quanto concerne i prezzi dell’energia, è difficile che scendano ancora molto rispetto ai livelli attuali, dato che ora c’è un “OPEC put” con l’Arabia Saudita come fornitore marginale chiave in grado di fissare un prezzo minimo, mentre anche le riserve strategiche di petrolio degli Stati Uniti (SPR) hanno raggiunto il livello più basso dalla metà degli anni ’80 (il che significa che un calo dei prezzi del petrolio porterà probabilmente le autorità statunitensi a ripristinarle).

Per valutare la velocità e l’entità della ripresa della crescita economica cinese e il suo potenziale impatto sui prezzi dei metalli e dell’energia (e quindi sull’inflazione globale), gli indicatori della fiducia dei consumatori cinesi e dell’attività immobiliare sono certamente tra le variabili chiave da tenere d’occhio nei prossimi mesi. Perché, come recita il proverbiale adagio, si può condurre un cavallo all’acqua, ma non lo si può far bere… e per questo è necessaria una ripresa dei prezzi e dell’attività immobiliare per innescare una domanda repressa sulla scorta dell’eccessivo risparmio accumulato nell’ultimo anno dalle famiglie cinesi.  Di conseguenza, il successo delle politiche economiche di sostegno del governo cinese richiede necessariamente una ripresa del settore immobiliare e il conseguente ritorno della fiducia delle famiglie cinesi.

Per ultimo, ma non per questo meno importante, vista l’agenda economica statunitense di questa settimana, con numerosi indicatori dell’attività economica come le vendite al dettaglio e la produzione industriale nei prossimi giorni, ecco alcune riflessioni controintuitive su come scambiare i dati sull’inflazione e sulla crescita sulla curva dei rendimenti statunitensi, ovvero su come i tassi a breve e a lungo termine statunitensi potrebbero reagire in caso di sorprese positive (o negative) sui dati di inflazione e crescita.

Sospetto che in caso di dati sull’inflazione più ostinati/alti, la curva dei rendimenti USA possa… invertirsi ulteriormente, con i tassi a breve che aumentano più di quelli a lungo termine, in quanto ciò dovrebbe implicare una Fed più restrittiva del previsto, riducendo quindi le probabilità di un atterraggio morbido (in quanto potrebbe essere costretta, o almeno correre il rischio, di spingere l’economia statunitense in recessione per domare l’inflazione).

In questo contesto, anche il biglietto verde potrebbe recuperare terreno. Lasciando da parte l’andamento e le previsioni dell’inflazione, in caso di sorprese positive/negative sui dati di crescita, la curva dei rendimenti USA probabilmente si orienterà rispettivamente verso l’alto o verso il basso, in quanto i dati di crescita positivi tenderanno a spingere i tassi a lungo termine verso l’alto senza un grande impatto su quelli a breve, mentre le sorprese negative sull’attività potrebbero dare alla Fed qualche motivo per fare una pausa prima o eventualmente per tagliare i tassi più in là.

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