Mercati e tassi: la view di Pimco

In settimana il Bureau of Labor Statistics ha pubblicato il dato sull’indice dei prezzi al consumo (CPI) di gennaio. Secondo l’indagine di Bloomberg, le variazioni del dato headline e core sono state in linea con le aspettative mediane degli analisti. Tuttavia, dopo che il BLS ha incorporato i fattori di destagionalizzazione e le ponderazioni del paniere di consumo aggiornati annualmente, la traiettoria dell’inflazione rivista è risultata più “viscosa” di quanto si pensasse in precedenza e ha contribuito a far emergere dai dati economici di gennaio che l’economia statunitense è stata sorprendentemente resiliente e che la Fed farà di più per garantire una moderazione dell’inflazione.

A dicembre, i funzionari della Fed avevano previsto altri due aumenti dei tassi di 25 punti base (pb), secondo la sintesi delle proiezioni economiche (SEP). Ma dopo i recenti dati, riteniamo molto probabile che la SEP della Fed venga nuovamente rivista al rialzo, in modo che la mediana rifletta un ulteriore rialzo dei tassi, con un conseguente aumento di 25 pb a marzo, maggio e giugno e un intervallo di picco dei tassi del 5,25%-5,5%. Ciò detto, le proiezioni sono ciò che sono – ovvero proiezioni – e il fatto che la Fed rispetti effettivamente questa traiettoria dei tassi rimane una questione aperta. Le condizioni finanziarie sono ancora rigide nonostante il recente allentamento, le banche stanno inasprendo le condizioni di credito e i risparmi dei consumatori stanno diminuendo.

Di conseguenza, anche se i dati recenti suggeriscono che l’economia statunitense è stata più resiliente di quanto ci si aspettasse, le nostre previsioni propendono ancora per un indebolimento. In particolare, vorremmo sottolineare i seguenti punti relativi ai recenti dati economici:

  1. Un minore impulso disinflazionistico verso la fine dell’anno è una notizia sempre più deludente, anche se il tasso dell’inflazione core su base annua (a/a) ha chiaramente raggiunto il picco. In precedenza, avevamo sostenuto che passare da un’inflazione dell’8% a una del 4% sarebbe stato relativamente facile perché i vincoli dell’offerta, legati prima alla pandemia e poi alla guerra in Ucraina, insieme a un’impennata della domanda indotta dagli stimoli e ad un’accelerazione del costo unitario del lavoro, sembravano indurre un aggiustamento pluriennale del livello dei prezzi che aveva in gran parte fatto il suo corso. Anche se non abbiamo mai pensato che la disinflazione sarebbe stata una linea retta, la revisione della dinamica avalla la prospettiva che, sebbene l’inflazione sia ancora suscettibile di moderazione, potrebbe richiedere più tempo.
  2. Gli indicatori sulla produttività di gennaio suggeriscono inoltre che l’economia statunitense è stata più resiliente all’inizio dell’anno di quanto si pensasse in origine. Non si vuole mai attribuire troppo peso a un singolo rapporto, ma i dati sull’occupazione di gennaio sono stati piuttosto solidi anche dopo aver preso in considerazione le revisioni e l’aggiornamento del benchmark: analogamente al CPI, l’aggiornamento degli indicatori stagionali da parte del BLS suggerisce che la dinamica del mercato del lavoro ha mostrato maggiore forza verso la fine dell’anno. Indipendentemente da ciò, sospettiamo che i problemi legati alla destagionalizzazione abbiano anche depresso le vendite al dettaglio dichiarate a novembre e dicembre, perché i consumatori hanno effettuato acquisti prima del consueto. Questo, unito all’aumento del reddito discrezionale aggregato per gli anziani derivante dall’aumento dell’adeguamento del costo della vita nella previdenza sociale a gennaio, porterà a un notevole rimbalzo delle vendite.
  3. Tuttavia, gli indicatori prospettici non sono così rosei. Come abbiamo scritto la settimana scorsa, le condizioni finanziarie sono ancora rigide rispetto agli standard storici e dati distinti della Fed suggeriscono che le banche stanno inasprendo le condizioni di credito praticamente in modo trasversale. Inoltre, i consumatori hanno risparmi negativi in termini reali, dato che i redditi aggregati reali sono ancora inferiori del 2% rispetto al trend pre-pandemico, mentre i consumi reali sono superiori del 2%. Sebbene i consumatori possano sostenere questo livello di consumi reali per un determinato periodo di tempo, dopo aver accumulato grandi scorte di liquidità durante la pandemia, questi trend non sono sostenibili nel medio termine.

Cosa significa tutto questo?

La Fed ha ancora il difficile compito di bilanciare il rischio di fare troppo e indebolire inutilmente il mercato del lavoro, con il rischio di non fare abbastanza e permettere all’inflazione di perdurare. Bilanciare questi rischi è ancora più difficile se si considerano i ritardi variabili e incerti nel meccanismo di trasmissione della politica monetaria e la possibilità di cambiamenti strutturali nell’economia dopo la pandemia. La Fed ha agito correttamente moderando il ritmo dei rialzi dei tassi di fronte a queste sfide, ora che è riuscita a spostare la politica monetaria in territorio restrittivo. Tuttavia, quanto siano restrittive le condizioni attuali, e quanto a lungo dovranno rimanere tali, rimane una questione aperta, che i funzionari di politica monetaria continueranno a indagare nel corso del prossimo anno.

Per il momento, i dati economici sono coerenti con l’idea che ci sia lo spazio per qualche altro rialzo e riteniamo che i funzionari della Fed coglieranno l’opportunità per confermare il riprezzamento del mercato.

A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di Pimco

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