Investimenti, attenzione: sentiment e realtà ora su strade diverse

Sui mercati si diffonde la convinzione che sia possibile evitare una recessione. Al contempo, l’inflazione in calo favorirebbe una svolta accomodante sul fronte monetario. Anche l’ultima indagine di Bank of America tra i gestori di fondi globali sembra confermare tale quadro. In ogni caso, al momento i mercati paiono ignorare i rischi geopolitici tuttora esistenti, pertanto “ci si chiede in che misura il sentiment sia in linea con la realtà“, avverte Dr. Hans-Jörg Naumer, Director Global Capital Markets & Thematic Research di Allianz Global Investors, che di seguito illustra la propria visione.

Date la riapertura più rapida del previsto in Cina dopo il lockdown e la crisi energetica meno grave del previsto in Europa, vengono meno due rischi rilevanti per l’economia mondiale. Tutta-via tale evoluzione non traspare ancora dai dati economici nel complesso. In gennaio il nostro macro indicatore proprietario sulla dinamica congiunturale (“Macro Breadth Growth Index”) – che comprende oltre 200 dati – è sceso per il quattordicesimo mese consecutivo. La causa è il deterioramento della situazione nella quasi totalità dei Paesi avanzati ed emergenti. Fanno eccezione l’Eurozona (terzo mese di fila in miglioramento) e l’India. Non è ancora chiaro invece se l’economia USA riuscirà a schivare la recessione o meno. Malgrado i persistenti rischi gli Stati Uniti beneficiano della solidità del mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione è sceso al nuovo minimo in 53 anni.

Sul fronte dell’inflazione sembra sia in corso una distensione. La dinamica inflazionistica ha perso ancora slancio. E il nostro macro indicatore sulla dinamica inflazionistica (“Macro Breadth Inflation Index”) è arretrato per il sesto mese di fila. Sebbene questo trend sia stato confermato dalla crescita più lenta dell’indice dei prezzi al consumo globale, pari al 6,7% in dicembre (dopo il picco del 7,8% nel terzo trimestre 2022), le pressioni sottostanti sui prezzi restano decisamente troppo forti.

L’aumento più moderato dei tassi di inflazione rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente non deve comunque essere interpretato come un segnale di una disinflazione persistente e generalizzata. La storia insegna che di norma la mitigazione dell’inflazione avviene lentamente e nell’arco di diversi anni. Occorre tener presente che i driver dei prezzi a lungo termine – demografia, deglobalizzazione e decarbonizzazione – non sono venuti meno. Per di più, ci sembra che oggi i driver di inflazione delle componenti core del paniere vengano sottovalutati mentre si pone eccessiva enfasi sui prezzi dell’energia o sugli aumenti salariali trasferiti ai consumatori.

In tale contesto la banca centrale USA Federal Reserve (Fed) e la Banca centrale europea (BCE) dovrebbero inasprire ancora le rispettive politiche monetarie. Non tutti saranno d’accordo, viste le speranze di una svolta repentina sul fronte monetario e di una ulteriore flessione dei tassi. Anche la Bank of Japan (BoJ) sembra pronta a intervenire. L’allentamento dei controlli sulla curva dei tassi, ha consentito un (lieve) rialzo dei rendimenti obbligazionari, dovrebbe rappresentare il primo passo della BoJ verso l’abbandono della politica di tassi nulli o negativi in essere da lungo tempo.

In definitiva: I rischi congiunturali permangono. Dovremo fare ancora i conti con le pressioni inflazionistiche. La politica monetaria potrebbe rimanere restrittiva più a lungo di quanto attualmente scontato dai mercati monetari.

In base a tale quadro, si profila la seguente allocazione tattica sui mercati azionari e obbligazionari:

  • Le valutazioni di azioni, titoli di Stato e obbligazioni corporate si attestano su livelli nel complesso neutrali, ma non possiamo ancora definirle convenienti.
  • Risaltano in particolare le valutazioni elevate sul mercato azionario statunitense. Il motivo risiede nello status di “bene rifugio” delle azioni USA che già in passato ha comportato valutazioni di norma più alte.
  • Nel frattempo, permane lo scetticismo dei gestori di fondi di tutto il mondo e il posizionamento resta quindi prudente. Contemporaneamente, in base alle indagini di Bank of America, i timori di recessione si sono attenuati. Le riserve di liquidità, molto consistenti rispetto alle medie storiche, sono diminuite solo di poco. Pertanto, i principali attori sui mercati finanziari potrebbero cogliere l’opportunità di incrementare l’esposizione azionaria, un’eventualità che in generale dovrebbe sostenere il segmento.
  • In un’ottica strategica di lungo periodo si dovrà far leva sul potenziale di rendimento delle azioni mentre in un’ottica tattica di breve periodo è preferibile una ponderazione neutrale di azioni e obbligazioni.

Tema di investimento: Dividendi – Stabilità nelle fasi di turbolenza

  • Dopo lo stop causa pandemia nel 2020, le distribuzioni di dividendi sono proseguite anche nel 2022. La percentuale di società che pagano dividendi in seno allo STOXX Europe 600 non è ancora tornata al livello pre-pandemia, ma lo scorso anno è salita ancora attestandosi a quasi il 90% del dato del 2019. Quanto all’S&P 500, la quota di società che effettuano distribuzioni è già in linea con il livello pre-Covid.
  • In passato sono stati in particolare gli investitori in azioni europee a trarre vantaggio da dividendi elevati. Le distribuzioni contribuiscono a stabilizzare la performance complessiva negli anni in cui l’andamento dei corsi è negativo, come dimostra un‘analisi su periodi di investimento di 5 anni dal 1978 a fine 2022. Quanto al rendimento annualizzato a cinque anni, i dividendi hanno in parte compensato le perdite.
  • Nel periodo 1978-fine 2022 il contributo dei dividendi alla performance complessiva annualizzata degli investimenti azionari dell’MSCI Europe è stato del 35% circa. In America settentrionale (MSCI North America) e nella regione Asia-Pacifico (MSCI Pacific), l’apporto dei dividendi alle performance totali è stato rispettivamente pari al 26% e a poco meno del 31%.
  • Inoltre, nel complesso i dividendi evidenziano oscillazioni meno ampie di quelle degli utili delle società; lo confermano i calcoli proprietari basati sui dati di Robert Shiller.
  • Dall’analisi dei dati storici emerge quanto segue: forse i dividendi non potranno resistere a tutte le tempeste, si pensi alla pandemia. Ma potrebbero dare prova di grande affidabilità, una caratteristica molto apprezzata in tempi di trasformazioni profonde. Di certo, danno un contributo degno di nota al rendimento complessivo.

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