Asset allocation, obbligazioni: cruciale un approccio selettivo

Il ritorno dell’inflazione a livelli che non si vedevano da 40 anni e la terapia d’urto delle banche centrali, costrette nel 2022 ad avviare una severissima politica restrittiva, hanno scardinato molti punti di riferimento ormai consolidati sui mercati finanziari. Le perdite a doppia cifra subìte non solo sulla componente azionaria dei portafogli, ma anche nel reddito fisso più conservativo (i governativi, ad esempio, ritenuti, erroneamente, privi di rischi) hanno disorientato gli investitori. Anche rifugiarsi nella liquidità non è stata una soluzione: i risparmi parcheggiati sul conto hanno infatti subito i violenti effetti di erosione del potere d’acquisto a causa di un’inflazione strutturalmente più elevata rispetto ai valori osservati negli ultimi 20 anni.

In questo scenario, la buona notizia è che il severo ciclo di rialzi dei tassi d’interesse in essere ha creato le condizioni per tornare a investire con una nuova ottica nel mercato del credito. Oggi, in particolare, si possono trovare opportunità interessanti nel perimetro delle obbligazioni a breve termine (1-3 anni), meno sensibili ai movimenti sui tassi e che hanno scontato più bruscamente il cambio di direzione delle politiche monetarie”. Ad affermarlo è Paolo Paschetta, Country Head di Pictet AM, che di seguito spiega nei particolari la view.

Il ritorno dei bond

A dicembre 2020, l’ammontare di obbligazioni in circolazione con un rendimento negativo superava i 18mila miliardi di dollari su scala globale, quasi il 30% del totale[1]. Uno scenario anomalo, prodotto da anni di politiche monetarie ultra-espansive che ha compromesso la possibilità di ottenere un ritorno positivo sulla componente a reddito fisso di migliore qualità, spingendo gli investitori verso soluzioni più complesse, rischiose ed esotiche.

Il 2022 ha imposto un doloroso cambio di paradigma, con un rialzo dei tassi di riferimento di oltre 4 punti percentuali negli Stati Uniti e oltre 2 punti percentuali nella zona euro. Le decisioni delle banche centrali hanno innescato pesanti vendite sia sul comparto equity che sul comparto bond, ma, allo stesso tempo, hanno riportato in alto, meccanicamente, i rendimenti dell’universo obbligazionario. Basti pensare che l’indice aggregato Bloomberg Global Investment Grade Corporate Bond è arrivato a offrire rendimenti (superiori al 5%) che non si vedevano dalla crisi finanziaria globale.

Fonte: indici ICE, Bloomberg, Pictet Asset Management. Dati relativi al periodo dal 31/12/2009 al 31/12/2022

Oggi, grazie al repricing dello scorso anno, le valutazioni rimangono interessanti dal punto di vista del rendimento complessivo e dello spread in diversi comparti del credito a breve scadenza, compreso quello ad alto rendimento. I tassi di insolvenza rimangono infatti al di sotto delle medie a lungo termine, poiché negli ultimi anni le aziende hanno approfittato dei bassi tassi di interesse per rifinanziare i propri debiti con scadenze lunghe, lasciando intatti i fondamentali societari generalmente sani e meglio posizionati per resistere a un rallentamento. Dal canto loro, le obbligazioni di buona qualità offrono oggi in media un ritorno superiore a quello dei titoli ad alto dividendo, tornando quindi a giocare un ruolo chiave nei portafogli di tutti gli investitori interessati a ottenere un flusso di reddito costante.

Le obbligazioni europee a breve termine

L’appetito per il segmento delle obbligazioni europee a breve termine si conferma buono in questa fase. L’aumento dei tassi di interesse e le condizioni monetarie più restrittive, infatti, hanno portato all’appiattimento delle curve dei rendimenti, specie a livello di credito investment grade che mostra ora le opportunità più interessanti sulla parte a breve.

Sulle scadenze brevi del comparto corporate si possono quindi ottenere ritorni superiori al 4%, migliori anche del 4,2% dell’intero paniere europeo di buona qualità (che comprende anche titoli con scadenze più lunghe, soggetti a rischi di volatilità molto più accentuati). Gli investitori che mantengono un’elevata propensione al rischio possono invece valutare un posizionamento sul credito high yield (ad alto rendimento) a breve scadenza. In questa fase, le valutazioni appaiono, infatti, attraenti: con i tassi di default ai minimi storici, a fine 2022, i rendimenti su questo segmento della curva, relativamente meno esposto a possibili fiammate di volatilità, sfiorano il 7%.

Vale la pena ricordare che la Banca centrale europea non ha ancora completato la sua stretta monetaria, ragion per cui i titoli più “lunghi”, quelli cioè con una durata finanziaria più estesa, sono più sensibili a ulteriori rialzi dei tassi d’interesse. La scelta di privilegiare l’universo europeo, d’altra parte, consente di neutralizzare il rischio cambio: se è vero che nel 2022 il dollaro si è rafforzato in modo importante, guadagnando oltre 8 punti percentuali sulle principali valute, a partire da novembre, è iniziata un’inversione di tendenza, che ha portato l’euro a recuperare terreno. Se nel corso dell’anno il biglietto verde dovesse perdere ulteriore terreno rispetto all’euro, il deprezzamento della valuta, in assenza di una copertura dal rischio cambio, finirebbe per trasferirsi anche sugli asset denominati in dollari del portafoglio. Cedole, rimborso a scadenza ma anche i ritorni dalla vendita anticipata di obbligazioni in valuta straniera sono infatti esposti al rischio che tale valuta si deprezzi contro l’euro.

Complessivamente, date le basse aspettative di crescita per l’anno in corso, la domanda degli investitori dovrebbe concentrarsi su aziende leader di mercato e appartenenti a settori meno ciclici, meno sensibili alla compressione dei margini. Non si può inoltre escludere che alcune società di minor qualità possano affrontare momenti di forte stress. Ancora una volta, la selezione attenta degli emittenti, e un approccio diversificato, attraverso strumenti di risparmio gestito creati ad hoc per selezionare al meglio molteplici titoli è la via maestra per evitare spiacevoli sorprese nel 2023.

I rischi di un’eccessiva concentrazione sui titoli di Stato

In questo scenario, la tentazione di molti investitori potrebbe essere quella di restare confinati nel perimetro dei Btp, dove oggi si trovano rendimenti sopra il 4% sul titolo decennale. Una tentazione rafforzata anche da un diffuso bias cognitivo, quello della “familiarità”: un meccanismo mentale distorsivo che condiziona le decisioni, portando ad esempio l’investitore a preferire ciò che conosce o che sente vicino, come i titoli di Stato nazionali o gli investimenti già realizzati da genitori o amici.

Un simile approccio favorirebbe una scarsa diversificazione degli investimenti e quindi una sovraesposizione a specifiche aree geografiche o a singoli strumenti finanziari. Nel caso specifico, un peso eccessivo dei titoli di Stato italiani nel portafoglio renderebbe l’investitore vulnerabile a possibili ondate di volatilità o a un eventuale allargamento dello spread (il differenziale di rendimento con il Bund tedesco) nei prossimi mesi. Nonostante il rapporto debito/Pil dell’Italia sia calato di 10 punti percentuali negli ultimi due anni, dal 155% del 2020 al 145,7% del 2022 – aumentando la fiducia degli investitori sui nostri titoli del Tesoro – da qui in avanti, il rallentamento dell’economia e la risalita dei tassi di interesse renderanno più oneroso il servizio del debito. La sostenibilità del debito pubblico italiano potrebbe quindi tornare sotto i riflettori.

Inoltre, vale la pena ricordare che gli investitori italiani sono in genere molto esposti al “rischio Italia”, dato che nel nostro Paese, tipicamente, esercitano la propria attività lavorativa e hanno la casa di proprietà. Investire in aziende europee con livelli di rischio tollerabili e rendimenti interessanti, permetterebbe di avere un’esposizione diversificata al tessuto produttivo e imprenditoriale europeo, senza esporsi alla volatilità del rischio cambio.

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