Mercati, occhi puntati sulla Bce. Le previsioni a breve e medio termine

Oggi è il giorno della Bce. Non credo che ci siano problemi nel confermare un rialzo dei tassi di 50 punti base (rialzo che appare ampiamente scontato dai mercati). Le prime ripercussioni della crisi di alcune banche Usa sui sistemi bancari europei non sembrano infatti tali da far temere una possibile ricaduta sistemica in Europa dove, lo ricordiamo, la più stretta vigilanza ha consentito alle banche di avere bilanci più solidi (ce li ricordiamo tutti gli stress test).

Smarcato l’aumento dei tassi, l’attenzione degli investitori si concentrerà quindi sul futuro della politica monetaria. Non crediamo che la Lagarde sarà così esplicita come lo scorso 2 febbraio, ma che si limiterà a ribadire che la BCE monitorerà i dati in uscita al fine di assicurare la corretta liquidità al sistema economico e in modo da consentire all’inflazione di raggiungere l’obiettivo. In una parola, flessibilità.

La strada che seguirà la BCE dipenderà da tre parametri fondamentali (indicati anche dal suo capo economista): l’evoluzione dei prezzi core, le aspettative di inflazione a medio termine e la corretta trasmissione della politica monetaria. Occorre tuttavia che la Lagarde sia molto guardinga nella comunicazione al fine di evitare che le parole e/o i toni usati possano essere interpretati non correttamente dai mercati, soprattutto se teniamo conto delle sue passate esperienze comunicative.

Oggi l’Eurotower è anche atteso rivedere le proiezioni economiche. Stime che crediamo vedranno una riduzione delle attese dell’inflazione headline ma un aumento di quella core. Parallelamente, visti gli ultimi dati, è possibile che la BCE prenda atto della maggiore resilienza della crescita economica rispetto alle ultime previsioni di dicembre.

I mercati si stanno tuttavia facendo una domanda strategica: quanto la BCE ha considerato il rischio sistemico su ogni singola banca, derivante dal velocissimo aumento dei tassi di interesse. Non abbiamo ovviamente la risposta.

Ci limitiamo a osservare che il rischio dell’attività bancaria in Europa è minore rispetto a quello delle banche USA. Un esempio su tutti: le banche Europee con più di 10 mld di euro di attivo sotto sottoposte alle stringenti regole di Basilea 3 su liquidità, concentrazione dei rischi e patrimonio ai fini di vigilanza (le regole USA sono state “ammorbidite” più di una volta). Le banche Europee non avrebbero quindi potuto raccogliere quasi 200 mld di dollari di depositi a breve e investirli a lunga scadenza per guadagnare di più (il matching tra l’attivo e il passivo è una delle regole fondamentali della finanza d’impresa).

Con le notizie in nostro possesso, non ci aspettano al momento grandi scossoni nel settore bancario in generale (non stiamo evidentemente parlando dei prezzi di borsa). Questo non significa che non potranno esserci alcune turbolenze o problemi di instabilità causati dai problemi delle banche USA. La Silicon Valley Bank era un colosso ma aveva una particolarità, ovvero era la banca del mondo della tecnologia e delle società sostenute da Venture Capital, assets per loro definizione rischiosi e che quindi rendevano rischioso anche chi li finanziava. Le altre banche sono molto più diversificate sia come clienti che come aree geografiche.

Ieri anche una banca vecchio continente, ancor che non facente parte di quelle sottoposte alla vigilanza della BCE, è stata oggetto di speculazione: Credit Suisse.

Ricordiamo che in una intervista il maggiore azionista della banca, la Saudi National Bank (SNB), ha dichiarato di essere soddisfatta del piano di ristrutturazione approvato dalla banca e non ritiene che Credit Suisse abbia bisogno di ulteriore liquidità. In una intervista a Bloomberg il presidente di SNB ha escluso un’ulteriore iniezione di liquidità nella banca, in primis perché non ne avrebbe bisogno e poi perché la normativa attuale non lo permette.

Ribadiamo che non vogliamo sottovalutare il problema che appare serio e ci chiediamo che cosa possa accadere nei prossimi giorni. Probabilmente ci vorranno settimane capire lo sviluppo dell’intera vicenda, sulla Silicon Valley Bank e sull’intero sistema finanziario. Settimane in cui assisteremo ad un aumento della volatilità. Quello che ci sentiamo di affermare è che probabilmente, una volta passata la paura, ci sarà un nuovo fly to quality verso banche più sicure. E da questo punto di vista le banche Europee offrono sicuramente maggiori garanzie di stabilità e di controllo.

Non possiamo però esimerci dal sostenere che la FED e l’amministrazione Usa ci abbiano messo del loro nell’intera vicenda. Non solo alleggerendo i controlli, ma operando una stretta monetaria senza se e senza ma contro l’inflazione valutandone gli effetti solo sulla recessione e la disoccupazione. Sottovalutando però clamorosamente le conseguenze che l’aumento del costo del debito avrebbe creato al sistema del credito, soprattutto quando le banche finanziavano attività negli stadi iniziali della vita delle imprese, la cui elasticità alla variazione dei tassi di interesse è, come noto, maggiore.

Gli investitori si chiedono se la vicenda possa in qualche modo far cambiare atteggiamento alle banche centrali. Non crediamo nel breve periodo. Nel medio periodi invece è probabile.

L’aumento dei tassi e l’inasprimento quantitativo, tolgono liquidità al sistema (a gennaio M0 è diminuita dell’1,4% e M1 dello 0,3%) e per questa via esercitano pressioni sul valore degli asset e sui depositi, alterando le strutture di bilancio e incidendo sul margine di interesse netto, soprattutto negli USA.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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