De Mare (AllianceBernstein): “Come convivere con la volatilità”

La volatilità regna sui mercati e destabilizza gli investitori. Trovare la stabilità in un contesto che di per sé è instabile diventa una priorità, ma non di facile realizzazione. Proprio questo tema è stato al centro della conferenza organizzata da AllianceBernstein all’interno della cornice di Consulentia23, durante la quale si è cercato di affrontare l’argomento sotto molteplici punti di vista. Presenti sul palco Giovanni De Mare, country head Italia di AllianceBernstein, Paolo Cucurachi, professore ordinario presso l’Università del Salento, Mario Romano, direttore investimenti di Sella Sgr e Paolo Biamino, head of Client Advisory, di CheBanca!.

Ecco, cosa ha detto De Mare (nella foto)  durante il suo intervento:

“Se il mondo pre-pandemia aveva abituato a una certa mancanza di volatilità, lo scenario negli ultimi anni è molto cambiato. Il 2022, in particolare, è stato un annus horribilis e non solo per i mercati azionari, più rischiosi per antonomasia, ma anche per l’obbligazionario, cosa non usuale.All’alba di questo 2023, poi, la prospettiva era di entrare in un periodo di transizione, uno scenario che per AllianceBernstein rimane il leitmotiv, e, al di là di quanto ci possa aver sorpreso in positivo il rally di inizio anno, alla fine si è tornato a parlare di volatilità, alla luce anche di quanto sta succedendo in questi giorni.

Proprio le vicende che hanno visto protagoniste le banche Usa, a cui si è aggiunta poi Credit Suisse, forniscono un esempio di come sia complesso, nel concreto, affrontare la volatilità. Da un lato, quello più razionale, dal nostro punto di vista, il clamore potrebbe essere eccessivo, così come potrebbe risultare esagerato il collegamento con il 2008 e con Lehman Brothers.

Oggi siamo sicuramente lontani da quel tipo di volatilità e, nel caso specifico delle banche, le criticità emerse sono più legate al loro business tradizionale, quindi più arginabili rispetto a quanto avvenuto qualche anno fa. Il riflettersi di questo tipo di volatilità dal mercato Usa a quello europeo sembra poi ammissibile, ma i due sistemi seguono logiche diverse: le banche italiane (ed europee) sono più capitalizzate, puntano a una maggiore sicurezza e prestano attenzione anche ai ratio, che permettono di guardare al mercato finanziario europeo con una certa serenità. Forse gli Stati Uniti avrebbero potuto arginare tale volatilità se ci avessero pensato un po’ prima.

Detto ciò, la volatilità, per sua natura, spaventa. Viene individuata quale misura di rischio e spesso evidenziata nella sua accezione peggiore, ovvero quando è foriera di ribassi. Se qualcosa è volatile, poi, necessariamente è instabile. Il modo di guardare a questa instabilità, tuttavia, varia a seconda di chi è chiamato ad affrontarla: per il risparmiatore finale ci sono tutte le ragioni per spaventarsi, mentre l’operatore finanziario potrebbe vedere delle grandi opportunità.

Per noi operatori la volatilità è senz’altro un momento di opportunità perché ci permette di creare quel valore che il cliente chiede all’asset manager, soprattutto nella gestione attiva, che punta a trovare il rischio idiosincratico specifico di un’azienda o di un titolo e, quindi, a fare la differenza rispetto al mercato di riferimento.

L’esercizio dell’investitore attivo è di ispirarsi al più grande investitore di tutti i tempi: Warren Buffett, che dalla volatilità ha tratto soltanto benefici. Buffett naviga i mercati volatili da anni e opera controcorrente rispetto al concetto di diversificazione, cercando una maggiore concentrazione, ma anche una piena conoscenza delle realtà su cui investe.

Dopotutto la volatilità racchiude uno yin e uno yang: è rischio ed è opportunità. Quando viene percepita come rischio, la cosa meno dannosa che un investitore possa fare è non agire, anche se l’istinto spesso può portare a disinvestire, incorrendo in perdite di conto capitale. Se vista solo come un’opportunità potrebbe invece portare ad un atteggiamento eccessivamente aggressivo.

È importante trovare il modo di conciliare questi opposti. Un modo è quello di non perdere mai di vista il proprio orizzonte di investimento. Infatti, se le oscillazioni giornaliere, settimanali o mensili possono apparire particolarmente pronunciate, l’andamento nel lungo termine risulterà meno preoccupante. I grafici mostrati dal Professor Cucurachi nella sua presentazione lo confermano: la volatilità rolling su dati giornalieri dal 1999 al 2023, osservata su base settimanale o mensile, varia considerevolmente, mentre su lassi temporali prolungati il rischio si appiattisce. Ciò rende il tempo la cura migliore al rischio di perdita in conto capitale.

Si parla, quindi, di approcci e finanza comportamentale, anche se è spesso più facile discutere che agire. Ciò che aiuta è la disciplina, il metodo, che sono propri di ogni ruolo. Il consulente è chiamato a cercare una diversificazione temporale e di asset class, gestendo , al contempo, l’emotività del cliente. Il gestore deve saper anticipare i mercati, ridurre il più possibile i drawdown e comunicare con chiarezza ai consulenti le decisioni prese e le ragioni che vi stanno alla base. Nel rapporto tra gestore e consulente, infine, diventa importante la pre-condivisione dell’obiettivo dello strumento che si sta gestendo.

Nel complesso, secondo AllianceBernstein, il “place to be” è l’azionario americano, in quanto asset class che presenta il miglior profilo di rischio/rendimento. Alla base c’è una differenza culturale che porta a diverse interpretazioni del concetto di volatilità: gli americani sono più propensi a mettersi in gioco, a rischiare e a mettere i loro soldi a frutto su un orizzonte temporale lungo perché godono di un minore sostegno statale, mentre in Europa c’è un atteggiamento più conservativo”.

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