Hedge Fund, crolla il mito delle commissioni fisse

Se infatti le commissioni di un fondo sono tipicamente pari all’1% sul patrimonio amministrato e del 20% sulle performance conseguite (calcolate diversamente da fondo a fondo a seconda se si applicano o meno soglie minime di performance – hurdle rate – o il recupero delle perdite pregresse – high water mark), oggi non è difficile trovare fondi che offrono tariffe ‘low cost’ pur di evitare l’uscita di massa dei clienti.

E’ il caso di Camulos Capital che in una lettera ai clienti ha offerto un piano commissionale rivisto del tipo 1,25% – 10% contro il classico 2-20%. L’offerta è valida però solo per quei clienti che accetteranno di non prelevare i propri soldi prima di altri 12 mesi. Il perché di tanta generosità è facile: il fondo bandiera della società ha perso il 20% ai primi di settembre e tanto e bastato per far uscire dalle casse della società 350 milioni di dollari prelevati dal i fondi Camulos Partners e Camulos Partners Offshore.

Un altro caso simile è quello che riguarda Ore Hill Partners. La società hedge con sede a New York dispone di asset per 2,8 miliardi di dollari e di recente ha offerto un piano ai clienti più virtuosi che prevede il calo delle commissioni con il prolungamento del piano di lock-up. Anche Rab Capital, colosso inglese specializzato negli hedge, le sta provando tutte pur di non perdere clienti. Tra le proposte quelle di tagliare le commissioni di gestione e performance.

Lo strumento della lock-up è sempre stato una delle caratteristiche chiave dei fondi hedge, soprattutto per i gestori più blasonati. Riuscire a ‘bloccare’ il patrimonio del fondo per un periodo che oscilla da 1 a 5 anni (tanto è richiesto da gestori quali Steve Cohen, Jim Simmons o Paul Tudor Jones) significa potere programmare gi investimenti con più calma e soprattutto investire anche la dove nessuno si osa spingere a causa della bassa liquidità dell’investimento.
Evoluzione di lock-up richiesta dai fondi hedge nel periodo 2005-2008 (Fonte: Deutsche Bank Alternative)
Ma in un periodo come quello che stanno attraversando i mercati, la mancanza di un accordo di lock-up è quello che di peggio può capitare ad un gestore. Con gli indici che perdono un punto percentuale al giorno, l’investitore preso dal panico per i -10 o -20% che legge sul resoconto trimestrale è portato ad agire di istinto e chiedere il disinvestimento immediato dal fondo in cui è investito (hedge o long only che sia). Questa decisione, motivata dal panico e dal timore di perdere molti più soldi, spesso è alla base della disfatta finale per l’investitore e per il fondo (per non dire del mercato).

Nel momento in cui l’investitore chiede di riscattare l’investimento fatto nel fondo, infatti,  il gestore ha tre mesi di tempo (anche qui dipende da fondo a fondo) per liquidare una parte della propria posizione sul mercato per l’importo richiesto dal cliente. Se tale richieste arrivano in massa, il gestore è costretto a smobilizzare gran parte del portafoglio costringendolo magari a ‘incassare’ subito una perdita che magari in futuro sarebbe stata riassorbita.

In aggiunta, se le richieste di riscatto colpiscono più di un fondo contemporaneamente, le perdite si estendono ulteriormente a causa dell’effetto domino creati dai fondi (spesso levereggiati) che nel giro di poche sedute si vedono costretti a ‘smontare’ posizioni gigantesche creando ulteriore shock al sistema e magari facendo partire altre vendite sui listini.

Gli hedge in definitiva stanno perdendo una di quelle caratteristiche che li rendeva tanto diversi dai gestori tradizionali: se il trend dovesse continuare potrebbe essere una vera e propria svolta per l’intera industria alternative.
 

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