Mercati e inflazione: le ripercussioni sui dividendi

Nel 2022 abbiamo assistito al ritorno dell’inflazione. Non abbiamo, invece, assistito a un cambiamento delle politiche dei dividendi delle società, il che è comprensibile trattandosi di politiche di lungo termine. Tuttavia, riteniamo probabile il perdurare di un periodo prolungato di rialzo dell’inflazione dovuto alla deglobalizzazione, alla transizione energetica e a dinamiche demografiche sfavorevoli legate all’aumento del tasso di dipendenza. In questo contesto, molte aziende dovranno modificare le loro aspettative sul fronte della redditività del capitale. Come Columbia Threadneedle, stiamo adeguando le nostre aspettative a questa nuova normalità, con l’obiettivo di individuare le società con obiettivi sostenibili in termini di dividendi”. L’avvertimento arriva da Jonathan Crown, portfolio manager di Columbia Threadneedle Investments, che di seguito spiega nel dettaglio l’affermazione.

La capacità di dimostrare margini di free cash flow resilienti sarà fondamentale per individuare le aziende in grado di accrescere stabilmente i dividendi. Di conseguenza, ci impegneremo affinché le società presenti in portafoglio siano dotate di pricing power ed abbiano la capacità di gestire la struttura di costo e gli investimenti in conto capitale, operando al contempo con un onere debitorio ragionevole. Un approccio rigiroso, infatti, risulta oggi più che mai fondamentale, dato che la sostenibilità dei dividendi è una dote sempre più ricercata in un ambiente inflazionistico.

Nel campo degli investimenti orientati al reddito, la sostenibilità dei dividendi si rivela oggi cruciale. Il ritorno dell’inflazione non fa che rafforzare la nostra preferenza verso società che offrono redditi e crescita sostenibili, in quanto siamo certi che questo sia l’approccio migliore per ottenere un rendimento totale lungo tutto il ciclo. Tuttavia, riconosciamo anche che per quelle società in grado di aumentare i dividendi ogni anno le cose saranno decisamente diverse.

Andamento dei dividendi nel 2022

Il 2022 è stato un anno positivo per i dividendi, cresciuti in media poco più del 7% a livello globale, in un periodo in cui il PIL mondiale è stato penalizzato dalla guerra in Ucraina e dalla politica zero Covid della Cina (Figura 1). I settori growth difensivi come i beni di prima necessità, i servizi di pubblica utilità e la sanità hanno registrato una crescita dei dividendi del 4-6%; le aziende di questi settori  sono  state generalmente in grado di far fronte all’inflazione, grazie a una combinazione di margini elevati, potere di prezzo e meccanismi di trasferimento. Allo stesso tempo, alcuni dei settori più ciclici, come i beni di consumo voluttuari e gli industriali, hanno registrato una crescita dei dividendi poco superiore al 10%, grazie all’effetto combinato della ripresa dei mercati finali, dei prezzi energetici favorevoli e dei dividendi post-pandemia. All’estremo opposto dello spettro, il settore dei materiali ha sofferto a causa dei prezzi delle materie prime, che hanno intaccato i margini di molte aziende, mentre nel settore delle comunicazioni AT&T ha tagliato il dividendo dopo lo scorporo da Warner Media.

Crescita dei dividendi per settore – 2023 e 2022

Fonte: Jefferies & FactSet, gennaio 2021. Nota: Dati bottom-up aggregati con adeguamento del flottante in base all’attuale universo MSCI.

Prospettive per il 2023

Le prospettive per i dividendi nel 2023 sono positive. Le aspettative prevedono un aumento del 4% in media a livello globale – un tasso di crescita solido anche se più sottotono rispetto a quello registrato in passato. Per i settori dell’energia e dei materiali, ci aspettiamo che i dividendi subiscano le pressioni esercitate dalle oscillazioni dei prezzi delle materie prime, date le politiche di distribuzione dei dividendi adottate da molte società. Mentre il settore finanziario e quello dei beni di consumo voluttuari offrono una crescita discreta, in gran parte ancora legata al recupero dei pagamenti dei dividendi dopo la pausa da Covid (dovuta alla depressione dei mercati finali o alla temporanea interruzione della restituzione di capitale agli azionisti). Infine, i settori growth difensivi dovrebbero generare una crescita dei dividendi intorno al 4-6%.

Inoltre, l’alleviarsi dell’emergenza energetica in Europa ha fatto crollare i prezzi del gas (Figura 2), spingendo al ribasso l’inflazione e risollevando la fiducia delle imprese: tutti fattori positivi per le azioni. L’inflazione europea scaturita dai problemi alle catene di approvvigionamento legati alla pandemia,  si è inasprita a fronte degli effetti della guerra in Ucraina. Prevediamo che l’inflazione dei prezzi al consumo scenderà al 3%-4% entro la fine dell’anno, favorendo l’economia europea.

Area euro: prezzi del gas naturale


Fonte: Intercontinental Exchange, Ice Futures Limited, gennaio 2023

Nel lungo termine, riteniamo che l’inflazione non tornerà ai livelli del 2% a cui eravamo abituati da 20 anni, ma rimarrà più vicina al 4%. Le ragioni alla base di questo dato sono molteplici, tra cui la carenza di materie prime dopo anni di bassa spesa in conto capitale, la riapertura dell’economia cinese grazie alla riduzione dei contagi da Covid, l’invecchiamento della popolazione europea, i sussidi europei per la transizione green, la deglobalizzazione e le tensioni militari in Europa. Tutto questo porterà a un aumento dei rendimenti obbligazionari e a una maggiore volatilità di mercato, con un conseguente abbassamento dei multipli P/E (prezzo/utili) rispetto al recente passato.

Segnali contrastanti sulla forza dell’economia

In Europa emergono accenni di ripresa, ma i segnali risultano contrastanti. Il miglior indicatore anticipatore è l’offerta di moneta, che sembra diminuire ulteriormente. Se l’inflazione si ridurrà come prevediamo, la domanda aumenterà. In Europa vi sono ampi margini di incremento della domanda di beni durevoli, a differenza degli Stati Uniti, dove la domanda ha già superato i livelli pre-pandemia.

Un altro fattore positivo riguarda la fine della politica zero Covid  in Cina. Il paese assorbe l’8% delle vendite europee, facendo dell’Europa il suo secondo partner commerciale dopo il Sud-Est asiatico. A seguito della recente riapertura, ci aspettiamo che i consumatori ricominceranno a viaggiare e che la spesa per consumi aumenterà. Al contempo i problemi alle catene di approvvigionamento si attenueranno e il rafforzamento della domanda cinese ridurrà la pressione sul renminbi. Tutti sviluppi che depongono a favore dell’Europa. I settori europei più esposti alla Cina sono i semiconduttori, i beni di lusso, l’energia e le automobili. Quest’ultima, infatti, rappresenta un quarto della domanda di semiconduttori e il 16% di quella dei beni di lusso.

Sul versante azionario globale, le valutazioni appaiono nel complesso ragionevoli dopo le flessioni del 2022. In particolare, lo sconto di valutazione tra le azioni europee e quelle statunitensi non è mai stato così ampio. I P/E basati sugli utili dei prossimi 12 mesi sono pari a 10x in Europa e a 17x negli Stati Uniti. Sebbene le aziende statunitensi possano essere più redditizie di altre, con una Cina più forte e un dollaro USA più debole, ci aspettiamo un rialzo delle valutazioni al di fuori degli Stati Uniti. Nell’improbabile evenienza che le azioni europee perdano quota quest’anno, la causa dovrà attribuirsi alla compressione degli utili.

Negli Stati Uniti, nel breve termine vediamo possibili rischi per i prezzi degli attivi (azioni e obbligazioni), in quanto il rallentamento dell’inflazione in genere comporta un aumento dei salari reali. Ci aspettiamo che la crescita dei salari nominali si manifesterà con uno sfasamento temporale rispetto all’inflazione, data la rigidità del mercato del lavoro statunitense. L’aumento dei salari reali incoraggerà la spesa al consumo, per cui l’economia potrebbe surriscaldarsi, determinando uno scenario pericoloso, poiché la Federal Reserve statunitense sarebbe costretta ad alzare nuovamente i tassi e le azioni non reagirebbero bene.

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