Consulenza: interessi alti allettanti, caro cliente conta fino a dieci

A cura di Maria Anna Pinturo

Se c’è una soluzione dai più decantata come “la” soluzione per il risparmio, di questi tempi, è quella del tasso di interesse. Non sapendo ancora come andrà a finire tutta la vicenda finanziaria delle banche centrali che continuano a inasprire la politica monetaria, si va su ciò che sa di sicuro, di determinato, perché scritto su contratti che decidono un vincolo sui risparmi restituendo, a distanza di mesi, se non di anni,  un certo tasso di interesse.

Mi ha colpito leggere sul NewYork Times come invece tutta questa presunta “sicurezza” del risparmiatore sia da approfondire. Innanzitutto mettendo davanti a tutto la possibilità che le banche USA mettano fine prima del tempo a questa sorta di “ricompensa” per il deposito lasciato su questi vincoli. E poi declinando una serie di domande che il risparmiatore dovrebbe farsi prima di sbilanciarsi su questi vincoli, magari pensando che quei soldi potrebbero servire prima della scadenza, andando così incontro a penali per estinzione anticipata di questo genere di contratti.

Ora, ammetto che questa prima sospensione di giudizio (se non contestazione del valore) circa le offerte di tasso sulla liquidità da parte delle banche americane (ma ampia è l’offerta anche da noi), è lecita e ragionevole. Lato banche, infatti, è ovvio che la “festa” possa finire da un momento all’altro, e lato risparmiatore è altrettanto evidente che si ci debba fare delle domande prima di passare al vincolo indiscriminato dei risparmi. Mi sembra tuttavia che la vera e più profonda questione stia da un’altra parte. E la scopriamo con una domanda che mi sento di fare a tutti i risparmiatori: sei sicuro che il tasso di interesse sia il criterio per decidere per il tuo risparmio?

Succede infatti che l’investitore non se la faccia affatto, questa domanda. Fino al punto di non porsi il minimo dubbio se una scadenza lunga, o addirittura lunghissima, sia da prendere in considerazione. Fino al punto, ancora, di non valutare neppure il rapporto tra la sua situazione anagrafica (l’età) e la scadenza decisa, non valutando dunque i vincoli non solo in rapporto alla situazione finanziaria ma anche alla propria situazione di partenza.

Un mio cliente di 78 anni giovedì scorso ha vincolato un capitale importante sul suo portafoglio in un titolo di stato con scadenza 2034. Un’altra cliente, classe ’58, sempre ad aprile ha acquistato obbligazioni Telecom, in questo caso su diverse scadenze anche relativamente brevi, ma investendovi il 30% del suo patrimonio. È chiaro che nel primo caso il cliente non ha considerato per nulla la sua età in rapporto alla scadenza del titolo di Stato prescelto ma, voglio aggiungere, non si è nemmeno preoccupato di considerare quanto il rendimento di quel titolo, a motivo del prezzo sul mercato, sarebbe stato a scadenza (2034!) solo di poco più del 4% lordo. Nel secondo caso, la cliente ha preso una decisione senza considerare “il caso Telecom” e più in generale la situazione del settore telecomunicazioni nel nostro paese.

Cosa voglio dire? Che la focalizzazione sul tasso di interesse prima di tutto, a parte tutto e oltre tutto (esagero), ha portato entrambi a non valutare le scelte, finendo per fare… di tutta un’erba un fascio. Hanno comprato durata e rischio senza poterlo fare, per età innazitutto, perché la decisione è stata presa sul tasso di interesse. Solo in base a questo criterio. Senza  condizioni. Meglio: senza che fossero necessarie particolari riflessioni, nel caso del titolo di Stato, sulla durata o scadenza del vincolo per ottenere quel tasso; nel caso del bond Telecom, sulla validità dell’emittente. A differenza di quanto invece avviene, ancora di più ultimamente, in occasione di una vera e propria accanita valutazione, da parte dei clienti, di altri strumenti di investimento già inseriti nei portafogli (fondi, etf, gestioni). Strumenti che, proprio in quanto non avrebbero quell’interesse dichiarato da subito come tasso restituito alla scadenza, sarebbero, quelli sì, da considerare tenuto conto delle condizioni ineludibili,  prima di tutto età e rischio. E proprio in quanto privi di quel tasso di interesse chiaro e promesso alla scadenza, finirebbero per questo motivo e sempre più spesso in una sorta di “Geenna degli asset”,  dove tutto è troppo incerto e dipendente dall’andamento ancora volatile della Borsa e senza nessuna previsione di quando si potrà sistemare la situazione.

Attenzione. Non mi si accusi qui di fare io di tutta un’erba un fascio. Perché avrei osato mettere sullo stesso piano l’attitudine aggressiva da parte dell’investitore a vincolare i risparmi in cambio di un tasso di interesse alla scadenza di vincoli all’acquisto sconsiderato di altri tipi di vincoli, come negli esempi citati. È infatti, al fondo, lo stesso fenomeno a presentarsi: la scelta del tasso di interesse come la soluzione sicura per il risparmio, “il” criterio giusto per il risparmio. Senza condizioni. Quando invece, nel parlare di soluzioni diverse di portafoglio, oggetto di una consulenza finanziaria, sarebbero queste le obiezioni che si metterebbero davanti a tutto il resto. Le condizioni di partenza, l’età dell’investitore e la qualità del rischio del tipo di investimento.

Perché, è indubbio, se noi consulenti  proponiamo soluzioni di investimento “diverse” , senza scadenza predefinita e senza tassi di interesse stampati, veniamo messi al muro come coloro che non si renderebbero conto di quanto la situazione sia complessa e senza soluzione, e pertanto di come solo il vincolo del tasso, che si tratti di conti deposito o di titoli di stato o di bond di qualsiasi emittente, varrebbe la pena di essere scelto.

In questa dinamica consueta, quello che manca è  la valutazione finanziaria. Perché queste scelte di tasso non sono decisioni finanziarie, ma assomigliano a un aggrapparsi a supporti mentre tutto scorre. Risposte come “perché il tasso è quello” e ancora “così non ci penso” sono sempre più spesso incoerenti con la situazione personale di chi sceglie quelle soluzioni. E portano con sè un rischio che paradossalmente si vorrebbe evitare: quello di perdere il controllo sul patrimonio, prima del rischio di perdere il patrimonio stesso.

Chi sceglie tassi di interesse “appoggiandosi” a un titolo di stato oltre i 10 anni, guardando il tasso di interesse scritto sul nominale del titolo, non considera quanto la sua età sia fondamentale come criterio. Ma non basta. Perché alla stregua di chi vincola i risparmi ad anni oltre che mesi in strumenti di deposito variamente definiti, non considera quanto i prezzi di tutto quanto non ha scritto un tasso di interesse così sfacciatamente in chiaro, si stiano “sistemando” come effetto di una politica monetaria seppur mal tollerata.  E quanto dunque possano, anche nel breve, essere prezzi di cui approfittare per fare operazioni che di vincoli non hanno e non avranno alcuna necessità.

E chi sceglie bond, di qualsivoglia emittenti, solo guardando al tasso di interesse, non considera quanto il mercato finanziario che in quella scelta si vorrebbe evitare di valutare sia invece da leggere e approfondire, prima, assolutamente prima di scegliere quel bond e quell’emittente.

Mi difendo. Io non sono pessimista e non sono una consulente che non acquista titoli di Stato o bond di corporate accanto a soluzioni “diverse”. Ma sono convinta che la scelta debba tenere presente le sempre valide premesse: l’età anagrafica, la qualità del credito del titolo e, non ultimo, l’andamento dei prezzi sul mercato, di tutto il mercato, quello che non dà subito una ricompensa in termini di tasso scritto sul nominale, ma che per questo può lasciare aperta la possibilità di scegliere cosa acquistare. Non da soli. E senza buttarsi ad occhi chiusi su qualunque sia la soluzione, basta che sia un… tasso.

Alla prossima!

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