Mercati, l’inflazione in Europa non scende: ecco perchè e cosa si potrebbe fare

Ieri l’inflazione dell’Europa relativa ad aprile è risultata in linea con le aspettative (7% anno su anno), ma in crescita rispetto al dato di marzo, pari al 6,9%.

Perché l’inflazione in Europa non scende?

Ci sono diverse concause. Dopo una forte uscita dalla pandemia, l’Europa è stata duramente colpita dall’impatto economico dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La crescita rallentò drasticamente, l’inflazione salì vertiginosamente e si materializzarono episodi di stress finanziario. Evitata per un soffio la recessione quest’inverno, l’Europa deve ora affrontare il difficile compito di sostenere la ripresa, sconfiggere l’inflazione e salvaguardare la stabilità finanziaria. Compito sicuramente non facile, non solo in generale, ma anche perché presuppone un forte coordinamento tra le diverse istituzioni.

L’inflazione fa fatica a calare, ma la crescita economica no

Ci aspettiamo che la crescita nelle economie avanzate europee rallenterà allo 0,7%-0,9% quest’anno dal 3,6% dello scorso anno, mentre anche le economie emergenti (escluse Turchia, Bielorussia, Russia e Ucraina) vedranno un forte calo all’1,1%-1,2% dal 4,4% del 2022. Nel 2024 riteniamo che ci sarà un lieve rimbalzo della crescita all’1,2% e al 3% circa rispettivamente, man mano che i salari reali si riprenderanno e la domanda esterna riprenderà vigore.

In Europa l’inflazione primaria è diminuita rispetto al picco massimo, ma non a sufficienza. Inoltre, la tendenza dell’inflazione di fondo (esclusi energia e alimentari) continua ad essere persistente e spiacevolmente al di sopra degli obiettivi della BCE. E crediamo lo rimarrà anche per gran parte del 2024. I cali recenti e previsti dei prezzi dell’energia alimenteranno una minore inflazione di fondo, ma non abbastanza da farla scendere rapidamente.

Questo ovviamente nell’ipotesi che non ci siano ulteriori shock, che la BCE riuscirà a ridurre costantemente l’inflazione (ma anche la FED, così da evitare di importare inflazione) ed eventuali nuovi attacchi di stress finanziario rimarranno contenuti. Inoltre, che non ci sarà un’ulteriore escalation della guerra della Russia in Ucraina e delle relative sanzioni, tenendo sotto controllo i prezzi dell’energia. Ma ancora che sarà tenuto a bada, anche una più ampia frammentazione geoeconomica, il rischio di stagflazione, che riduce la crescita e aumenta l’inflazione.

Lo scenario peggiore (che ovviamente non ci auguriamo ma che occorre considerare), è che le cose possano peggiorare su tutti i fronti, con la crescita, l’inflazione e la stabilità finanziaria che rischiano di complicare le scelte politiche. Prendiamo per esempio l’inflazione, che potrebbe rimanere più alta più a lungo del previsto. Oppure i prezzi dell’energia, che potrebbero aumentare di nuovo. La crescita dei salari potrebbe aumentare più del previsto, poiché i lavoratori ottengono maggiori compensi per le recenti perdite di potere d’acquisto nei mercati del lavoro ristretti. A sua volta, aumenti salariali più rapidi renderebbero l’inflazione di fondo più persistente, un rischio materiale in gran parte delle economie europee emergenti, dove la crescita dei salari nominali è a due cifre.

Altro tema da considerare è che potremmo aver sottovalutato quanto le due crisi consecutive di COVID ed energia abbiano danneggiato la capacità produttiva dell’Europa e aumentato ulteriormente i rischi di inflazione. Sebbene le aziende abbiano trovato modi per migliorare l’efficienza energetica nell’ultimo anno, i prezzi dell’energia costantemente più elevati crediamo che possano ridurre la produzione industriale dell’area dell’euro di oltre l’1% nel medio termine, con perdite maggiori nelle economie a più alta intensità energetica come la Germania o l’Italia.

Più in generale, è  noto che i calcoli in tempo reale degli economisti tendono a sottovalutare il danno permanente delle crisi, quindi a sopravvalutare l’entità del rallentamento economico, realizzando la loro piena portata solo con un ritardo. Storicamente osserviamo che nei periodi di ripresa, le stime di debolezza economica nei Paesi europei sono state riviste al ribasso di un intero punto percentuale un anno dopo il fatto e anche di più successivamente.

In generale, di fronte all’incertezza, le banche centrali dovrebbero mantenere una politica monetaria restrittiva fino a quando l’inflazione core non sarà senza dubbio alcuno incanalata verso un percorso discendente e verso gli obiettivi di inflazione della banca centrale. Nell’area dell’euro ci sembrano necessari ulteriori aumenti dei tassi ufficiali.

Normalmente l’elevata incertezza rafforza le ragioni per una politica monetaria restrittiva. Se le prospettive di inflazione sono incerte, c’è molto da perdere se si reagisce troppo tardi piuttosto che troppo presto, perché sottovalutare la persistenza rafforzerebbe l’inflazione elevata e costringerebbe le banche centrali a inasprire la politica monetaria più tardi e più a lungo (tra l’altro è proprio quello che è accaduto lo scorso anno). Ciò richiederebbe probabilmente una forte recessione per riportare l’inflazione all’obiettivo.

Allo stesso modo, quando l’entità della debolezza economica è incerta, le autorità monetarie dovrebbero attribuire maggiore peso all’inflazione e alle dinamiche del mercato del lavoro, che ora favoriscono tassi di interesse più elevati. Inoltre, anche tenendo conto dell’elevata incertezza, i tassi ufficiali in un certo numero di paesi si collocano all’estremità inferiore dei parametri di riferimento comunemente utilizzati, suggerendo che potrebbero essere necessari tassi più elevati per frenare l’inflazione.

Se le condizioni finanziarie dovessero inasprirsi ulteriormente a causa di nuovi problemi del settore bancario, le banche centrali potrebbero anche non avere bisogno di una politica monetaria così restrittiva per raggiungere i propri obiettivi. Tuttavia, sarebbe una indicazione fuorviante per i mercati finanziari, sospendere o invertire prematuramente l’inasprimento sulla base della legittima preoccupazione che tassi di interesse più elevati comportino maggiori rischi per la stabilità finanziaria.

Siamo convinti che sia difficile pensare che la BCE possa avere successo da sola. Per sconfiggere l’inflazione vischiosa evitando crisi finanziarie e recessione, tutte le politiche macroeconomiche, finanziarie e strutturali devono lavorare di concerto. E qui diventa ovviamente tutto più complicato.

Il mantenimento della stabilità finanziaria richiede una stretta supervisione e monitoraggio sia delle banche che degli intermediari finanziari non bancari, piani di emergenza e tempestive azioni correttive.

Qualche modesto suggerimento

Nell’Unione europea, la stabilità potrebbe essere rafforzata per esempio estendendo la portata degli strumenti di risoluzione bancaria, chiarendo la disponibilità delle risorse del Fondo di risoluzione unico, ratificando il trattato modificato del meccanismo europeo di stabilità e concordando un’assicurazione dei depositi paneuropea.

Sconfiggere l’inflazione richiede inoltre che i governi europei perseguano un consolidamento fiscale più ambizioso di quanto previsto dai loro piani attuali (il che non vuol dire ristabilire il patto di stabilità e crescita precedente). Un buon punto di partenza sarebbe eliminare gradualmente la maggior parte delle misure di sostegno energetico e indirizzare quelle rimanenti in modo più ristretto alle famiglie vulnerabili.

Una politica fiscale più rigorosa aiuterebbe anche la BCE a raggiungere l’obiettivo di tassi di interesse più bassi. Ciò ridurrebbe i costi del servizio del debito e rafforzerebbe ulteriormente la stabilità finanziaria, riducendo la vulnerabilità delle economie dell’area dell’euro ai rischi di frammentazione finanziaria.

Infine, le riforme dal lato dell’offerta, che potrebbero contribuire a sostenere la crescita economica in presenza di politiche macroeconomiche restrittive. E’ facile intuire come in Europa, i progressi nell’attuazione dei piani di ripresa e resilienza e dell’Unione dei mercati dei capitali potrebbero sbloccare gli investimenti necessari per aumentare la capacità produttiva colpita dalla crisi, raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE e migliorare la sicurezza energetica.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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