Gli speach odierni di Lagarde e Powell non preoccupano i mercati

Oggi parlano sia la Lagarde che Powell. Ma i mercati non sembrano dare molta enfasi a quello che i due presidenti potranno dire. Anche perchè gli stessi hanno chiarito abbastanza bene le rispettive mosse: la Fed aspetterà ad alzare nuovamente i tassi, mentre le Bce li alzerà di ulteriori 25 punti base nel meeting di giugno (qualche analista ipotizza anche 25 punti a luglio). Vedremo.

Cominciamo con il trend dell’economia USA. Il sistema finanziario globale si basa sulla stabilità del dollaro e sul grande deficit commerciale degli Stati Uniti. In sostanza, gli Stati Uniti esportano la stabilità del dollaro per ottenere beni e servizi a un prezzo inferiore, e così facendo migliorano il benessere dei propri cittadini.

La spesa dei consumatori USA, sostenuta dai trilioni di risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia, è stata un pilastro dell’economia americana. Ma ci sono segnali che questa resilienza sta svanendo. Tutto questo sta arrivando mentre la prospettiva di una recessione sta aumentando. Poiché i consumatori all’estremità inferiore del range di reddito sono toccati dall’inflazione elevata, stanno spendendo i loro risparmi, il che potrebbe indebolire l’economia proprio come gli aumenti dei tassi della Fed limitano i prestiti. Di conseguenza, diversi analisti stimano la possibilità di una recessione all’80% nei prossimi 12 mesi.

Sembra quindi sempre più probabile che le debolezze emergenti in alcune parti dell’economia diventeranno più ampie e diffuse nei prossimi mesi, portando a una recessione. Questa prospettiva è associata all’inflazione persistente, all’aggressività della Fed che ha aumentato violentemente i tassi negli ultimi 12 mesi, alle ricadute della crisi bancaria e alle recenti tendenze della spesa dei consumatori e degli investimenti delle imprese. Riteniamo che la crescita del PIL reale rallenterà allo 0,7% nel 2023, per poi scendere allo 0,4% nel 2024.

Sebbene la spesa dei consumatori abbia favorito la crescita complessiva del PIL nel primo trimestrre di quest’anno, i dati mensili mostrano che ciò è stato associato a un picco della spesa a gennaio. Il clima favorevole, gli aggiustamenti della previdenza sociale e le vendite di veicoli sembrano aver svolto un ruolo importante nell’attività di spesa di quel mese.

Tuttavia, gennaio a parte, la spesa reale dei consumatori si è contratta a novembre, dicembre, febbraio e marzo. E’ possibile che questa tendenza continui poiché l’inflazione elevata, i tassi di interesse elevati e il raffreddamento atteso del mercato del lavoro sono attesi ridurre ulteriormente la domanda.

Nel frattempo, gli investimenti delle imprese hanno continuato a raffreddarsi nel primo quarter poiché i tassi di interesse elevati e le preoccupazioni per il futuro hanno pesato sulle società. Queste tendenze probabilmente peggioreranno man mano che gli effetti degli aumenti dei tassi di interesse si faranno più concreti e le condizioni del credito continueranno a inasprirsi (a causa delle ricadute associate alla crisi bancaria).

La spesa pubblica rappresenta un fattore positivo per la crescita nel 2023 poiché la spesa federale diversa dalla difesa, beneficia delle spese associate alla legislazione sugli investimenti infrastrutturali approvata nel 2021 e nel 2022.

Poiché il ritmo del rallentamento della spesa dei consumatori non è stato così grave come previsto in precedenza, è possibile che il secondo trimestre possa presentare una variazione negativa più contenuta di quanto atteso all’inizio dell’anno. Ma è probabile che la debolezza dell’attività economica persista all’inizio del 2024.

La rigidità del mercato del lavoro che caratterizza la fase attuale, riteniamo che si attenuerà leggermente nei prossimi trimestri, ma rimarrà comunque elevata rispetto alle precedenti recessioni economiche, riflettendo la persistente carenza di manodopera in alcuni settori. Ciò dovrebbe impedire alla crescita economica complessiva di scivolare troppo in territorio di contrazione e facilitare un rimbalzo il prossimo anno.

Guardando al 2024, riteniamo che la volatilità che ha dominato l’economia Usa durante il periodo della pandemia diminuirà. Nella seconda metà dell’anno siamo convinti che la crescita complessiva tornerà a tassi pre-pandemia più stabili, l’inflazione si avvicinerà al 2% e la Fed riporterà i tassi al di sotto del 4%. Tuttavia, a causa delle sfide demografiche, riteniamo che la rigidità del mercato del lavoro rimarrà una sfida costante per il prossimo futuro.

E la Lagarde?

Siamo convinti che sosterrà la sua tesi che ci sono ancora grandi rischi all’orizzonte a causa dell’inflazione e che le condizioni finanziarie non sono ancora sufficientemente rigide. Le prospettive di inflazione continuano infatti ad essere troppo elevate. E’ vero che l’inflazione complessiva è diminuita negli ultimi mesi, ma le pressioni sottostanti sui prezzi rimangono forti, soprattutto su quelli core. I passati aumenti dei tassi vengono trasmessi con forza alle condizioni finanziarie e monetarie dell’area dell’euro, ma i ritardi e la forza della trasmissione all’economia reale rimangono incerti.

Il rallentamento della dinamica di aumento dopo tre consecutivi rialzi di 50 punti, è arrivato solo pochi giorni dopo che i dati bancari della zona euro hanno mostrato il più grande calo della domanda di prestiti in oltre un decennio. Ma il rallentamento della dinamica degli aumenti, non significa che questi sono finiti. Non solo. La Bcesta anche diminuendo il portafoglio APP a un ritmo misurato e prevedibile, in quanto non reinveste tutti i pagamenti principali dei titoli in scadenza. Il calo, come noto, ammonta in media a 15 miliardi di euro al mese fino alla fine di giugno 2023. Per quanto riguarda il PEPP, il Consiglio Direttivo intende reinvestire i pagamenti di capitale dei titoli in scadenza acquistati nell’ambito del programma almeno fino alla fine del 2024. Chiaro che la Bce eviterà che il futuro roll-off del portafoglio PEPP possa creare interferenze con l’orientamento di politica monetaria.

L’obiettivo della Bce è sempre quello: riportare l’inflazione al 2%. Tuttavia, non crediamo che una volta raggiunto la Bce riporti in negativo i tassi reali attraverso una politica monetaria altamente accomodante. Politiche monetarie espansive, accompagnate dai tassi reali mantenuti negativi per un lungo periodo di tempo, non possono infatti inquadrarsi all’interno di una ordinata crescita economica: sono straordinarie e come tali devono avere una vita breve.

Negli ultimi mesi gli straordinari shock sul lato dell’offerta, associati alle strozzature delle catene di approvvigionamento e alla crisi energetica, si stanno invertendo, fornendo la base per una prospettiva più ottimistica per l’economia dell’intera area euro rispetto a quanto atteso lo scorso autunno. Questo, consente un rafforzamento della fiducia delle imprese e dei consumatori e sostiene i redditi e l’attività economica, riducendo al contempo le pressioni sui prezzi. L’aumento dei salari fornisce tuttavia un ulteriore sostegno alla domanda.

Allo stesso tempo però, il perdurare dell’inasprimento delle condizioni finanziarie, l’apprezzamento dell’euro e il graduale ritiro del sostegno fiscale peseranno sulla domanda aggregata nel medio termine, con una produzione industriale che appare destinata ad espandersi meno rapidamente sia nel 2024 che nel 2025 rispetto al 2023.

La ripresa dell’Europa dovrebbe essere sostenuta dai consumi privati che dovrebbero rafforzarsi con l’attenuarsi dell’incertezza, in particolare per quanto riguarda la sicurezza energetica e con il calo dell’inflazione, che consentirà la ripresa del reddito reale disponibile in presenza di prospettive occupazionali favorevoli.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

 

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