Mercati in attesa di capire come si muoveranno Fed e Bce

I mercati sono in una fase attendista per capire che cosa faranno le banche centrali nei prossimi meeting, fissati al 14 giugno per la FED (dove verranno fornite anche per proiezioni economiche) e al 15 giugno per la BCE.

Cerchiamo di capire cosa potrebbe accadere la prossima settimana e oltre. Iniziamo dalla FED. Dopo 500 punti base di aumenti dei tassi di interesse, la FED ha ritenuto opportuno segnalare che la politica monetaria sia ora in territorio restrittivo e che potrebbero non essere necessari ulteriori aumenti dei tassi. Poiché la politica monetaria funziona con un ritardo, l’economia USA comincia ora a sentire l’impatto degli aumenti dei tassi e quindi l’effetto completo non sarà visibile prima della fine dell’anno.

Ha senso fermarsi e valutare fino a che punto una politica più restrittiva potrebbe frenare la crescita economica, soprattutto alla luce delle prove crescenti che sta già funzionando. I prezzi delle case sono diminuiti nell’ultimo anno poiché i tassi dei mutui sono aumentati. L’inflazione sembra aver orami raggiunto il picco ed è pronta a raffreddarsi. Anche la domanda di lavoro sta iniziando a calare, con tassi di assunzione e opportunità di lavoro in rallentamento.

Il rapido inasprimento delle condizioni del credito sperimentato negli ultimi trimestri è stato solo intensificato dai recenti fallimenti bancari. Di conseguenza, riteniamo che l’economia stia affrontando un mix di costi di indebitamento più elevati e minore disponibilità di credito in un contesto di fiducia già molto debole delle imprese e dei consumatori.

Il mercato del lavoro sta reggendo bene, nonostante la crescita della disoccupazione registrata in maggio e pari al 3,7%. Come abbiamo più volte messo in luce, questo è l’indicatore di ciclo economico più in ritardo ed è quindi probabile che nei prossimi due trimestri peggiori ulteriormente.

L’inflazione è ancora ben al di sopra dell’obiettivo e la FED continua a segnalare che i tagli dei tassi sono improbabili prima del 2024. Tuttavia, se l’economia dovesse entrare in recessione, è probabile che l’inflazione diminuisca più rapidamente di quanto atteso, aprendo potenzialmente la porta a tagli dei tassi già a partire da quest’anno.

Scommettendo proprio su questo, i mercati stanno valutando che la prima mossa possa arrivare già a settembre. Non siamo di questo avviso e riteniamo che settembre sia troppo presto. Probabilmente nel quarto trimestre potrebbero essere valutati possibili tagli dei tassi di interesse che, se la recessione si presentasse “cattiva” potrebbe anche spingere la FED a movimenti aggressivi di 50 bp.

Proseguiamo con la BCE, il cui motto sembra essere diventato quello di rallentare ma non fermarsi. Questo almeno è il messaggio che la stessa ha cercato di lanciare dopo il suo ultimo meeting. Le turbolenze bancarie hanno finora aggravato l’impatto restrittivo degli aumenti dei tassi e questa parrebbe essere una chiara motivazione per rallentare il ritmo e l’entità degli aumenti.

Tuttavia, per il momento, il fatto che non vi siano ancora segnali di alcun processo disinflazionistico, scontando i prezzi dell’energia e delle materie prime, nonché il fatto che l’inflazione sia sempre più guidata dalla domanda, riteniamo che suggerirà alla BCE di rimanere in modalità restrittiva.

La domanda principale per la BCE è quando potrebbe fermarsi ed aspettare che i rialzi dei tassi fatti fino a questo momento facciano il loro lavoro. Continuare con gli aumenti dei tassi fino a quando l’inflazione effettiva non sarà tornata al 2% non ci sembra certo una strada percorribile. Tuttavia, poiché la BCE sembra aver perso la piena fiducia nelle proprie previsioni macroeconomiche, gli sviluppi effettivi dell’inflazione stanno giocando un ruolo più importante rispetto al passato. È una situazione sicuramente non semplice poiché il rischio che qualcosa nell’economia si rompa aumenta ogni volta la possibilità che i tassi salgano.

E’ probabile quindi che la BCE segua una strategia ibrida per tenere sotto controllo gli sviluppi dell’inflazione a lungo termine, in attesa che soprattutto quella core scenda in modo strutturale. Per raggiungere questo obiettivo, riteniamo probabile che la BCE aumenti i tassi di interesse almeno ancora una volta prima di entrare nel mood wait and see. Chiaramente questo in assenza di perturbazioni esterne che possano mettere a rischio la stabilità finanziaria dell’intera Unione Europea.

Durante tutto questo ciclo, l’inflazione Europea ha seguito l’andamento dell’inflazione statunitense, ma con un ritardo compreso tra tre e sei mesi. Di conseguenza l’inflazione in Europa, dopo aver raggiunto il picco, sta seguendo i dati statunitensi al ribasso, ma la misura dell’inflazione core rilevante per la politica monetaria non è ancora stata abbassata. Crediamo che questo possa accadere nei prossimi mesi. Ma fino a quando non si vedranno risultati concreti, la BCE rimarrà probabilmente in allerta.

I dati economici suggeriscono anche che la traiettoria dell’area dell’euro è indietro di qualche mese rispetto agli USA, che hanno già visto una politica monetaria più restrittiva iniziare a trasmettersi all’economia reale. In Europa, politiche più restrittive hanno inasprito gli standard di prestito ma non hanno ancora frenato l’attività economica. Abbiamo pochi dubbi che ciò accadrà, ma ci vorranno ancora alcuni mesi.

Il quadro generale è quindi che le decisioni delle due principali banche centrali indichino una divergenza a breve termine: la FED è in attesa e la BCE sta ancora alzando i tassi. Nel breve periodo questo potrebbe generare occasioni di investimento interessanti. Ma gli investitori non dovrebbero aspettarsi che questi percorsi restino diversi per molto tempo.

Siamo convinti infatti che entro la fine dell’estate entrambe le banche centrali saranno in attesa. Quindi l’attenzione si concentrerà probabilmente su quando inizieranno i tagli dei tassi.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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