Mercati: la recessione non farà diventare la Bce più “colomba”

Venerdì scorso la fiducia dei consumatori misurata dall’Università del Michigan di luglio è risultata decisamente maggiore rispetto alle attese (72,6 punti contro 65,5 stimato e 64,4 di giugno). Come noto, l’indagine riguarda l’atteggiamento di 500 famiglie riguardante il loro atteggiamento nei confronti dell’economia. La fiducia dei consumatori è direttamente correlata alla loro capacità di spesa.

Ma i verbali della riunione di giugno del Consiglio Direttivo della BCE, resi noti giovedì scorso, sembrano supportare le aspettative degli economisti secondo cui i tassi di interesse potrebbero dover continuare a salire per riportare l’inflazione sotto controllo.

Tuttavia, diversi indicatori anticipatori del ciclo economico suggeriscono che le pressioni inflazionistiche dell’Eurozona si stanno attenuando sotto la spinta della recessione. Ma non per questo crediamo che la BCE fermi l’aumento di 25 punti la prossima settimana. Vedremo poi i dati che usciranno da qui a settembre per capire le prossime mosse della banca centrale. Intanto le aspettative dei mercati finanziari, vedono i tassi swap forward legati all’inflazione e i prezzi delle opzioni indicano ulteriori e potenziali rischi al rialzo anche dopo settembre.

L’inflazione in Europa, seppur lontano dai massimi, appare però ancora più lontana dall’obiettivo. Questo non consente alla Lagarde di essere meno falco, il che significa che potrebbero esserci all’orizzonte ulteriori aumenti, oltre a quello scontato del 27 prossimo, per finire il lavoro. La BCE non sta quindi pensando di fare una pausa.

Uno dei fattori che sicuramente concorre a tenere elevata la crescita dei prezzi è l’aumento dei salari ai quali le aziende fanno fronte aumentando i prezzi per evitare la flessione dei margini. Un aumento dei tassi di interesse che riduce la domanda di beni e servizi, potrebbe ridurre la dinamica inflattiva, ma a prezzo di una recessione economica più forte di quella attuale. La BCE, come noto, ha affermato che seguirà un approccio dipendente dai dati. Ma i dati di inflazione, a cominciare da quelli della Germania, non sono per nulla tranquillizzanti.

Di fatto è tuttavia l’intera economia europea che è in una fase di stagnazione. Anche se negli ultimi mesi i prezzi dell’energia sono diminuiti, l’impennata dei prezzi dello scorso anno era impossibile che fosse superata senza lasciare strascichi sulla fiducia delle famiglie, imponendo loro una flessione dei consumi.

Riteniamo probabile che anche nel secondo trimestre la variazione del PIL dell’Europa possa avere un meno davanti, con gli effetti degli inasprimenti della politica monetaria che si fanno via via sempre più concreti. La recessione “tecnica” e l’ulteriore previsione di flessione del PIL non crediamo che possano esercitare pressioni sulla BCE per indurla ad essere più colomba.

Che cosa potrebbe frenare quindi la corsa della BCE ad alzare i tassi? Probabilmente qualche problema a una o più banche dell’Europa. Escluse le grandi (quelle vigilate dalla BCE per intenderci) meglio capitalizzate, le piccole sono vigilate dalle rispettive banche centrali. Non abbiamo ovviamente nussun dubbio che il controllo sia rigoroso. Ma questo le non mette ovviamente al riparo da un aumento degli NPL, UTP, etc indotto da una recessione più lunga delle attese.

Se poi i problemi fossero gravi tanto da non poter essere risolti con un semplice aumento di capitale, le banche centrali sarebbero chiamate a intervenire per prevenire un pericoloso contagio. Scenario sicuramente poco probabile, visti i livelli di patrimonializzazione delle banche, ma non per questo da scartare a priori.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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