Non bastava il crollo dei listini azionari, il crollo dei titoli legati agli immobili dei Cdos, degli Abs e infine il divieto di operare short: per gli hedge i prossimi mesi potranno rappresentare una vera e propria sfida.
Investitori in fuga
Per un’industria cresciuta di quasi 50 volte in poco meno di 15 anni, passando da 38,9 miliardi di dollari gestiti (1990) fino ai due trilioni di dollari dei nostri tempi, ora gli hedge pagano caro le pessime performance del 2008 (e per alcuni del 2007) e molti di loro saranno costretti a chiudere i battenti.
A gettare benzina sul fuoco, le parole del famoso economista Nouriel Roubini, che dopo avere previsto lo scoppio della bolla immobiliare, i problemi di Fannie Mae e Freddie Mac, ha profetizzato la crisi dei fondi che hanno fatto largo ricorso alla leva finanziaria.
A dire il vero la moria di fondi hedge è già cominciata e da almeno 12 mesi. Il fenomeno è talmente evidente che negli Stati Uniti esistono siti che monitorano ogni qualvolta ‘salta’ un fondo hedge (sono già 81 i fondi implosi da metà 2007), con tanto di classifica aggiornata in tempo reale e descrizione dell’accaduto. Secondo EuroHedge, data provider specializzato sui fondi alternativi, ha detto che nei primi sei mesi dell’anno sono stati lanciati 272 nuove strategie (il dato più basso degli ultimi sei anni) ma nello stesso periodo sono stati liquidati 243 fondi hedge (anche in questo record degli ultimi sei anni).
Il problema principale di questo fuga dagli hedge è costituito dalle performance. Nonostante qualsiasi buon gestore hedge tenti di performare ‘nella buona e nella cattiva sorte’, l’arena competitiva in cui questi soggetti operano è diventata talmente affollata e insicura che pochissimi fondi sono riusciti a generare performance positive nell’ultimo anno. Lo scorso anno per esempio, le pessime performance dei mercati occidentali è stata controbilanciata (in parte) dai guadagni messi a segno dai paesi emergenti: Cina, india, Russia. Ora che anche questi indici sono collassati (la Russia in particolare desta preoccupazione) le opportunità di fare performance sono svanite.
Non c’è quindi da meravigliarsi se anche i grandi gestori stanno prendendo ‘bordate’ importanti, registrando perdite anche a doppia cifra. Per tutti basta ricordare il caso del blasonato fondo hedge gestito dalla britannica Rab Capital, lo Special Situations Fund: il fondo negli ultimi otto mesi ha perso il 22% del suo valore subendo un’ondata di riscatti tanto da frenare l’uscita degli investitori offrendo particolari ‘sconti’ sulle commissioni di gestione e performance.
Leverage & Deleverage
Uno degli altri grandi problemi che dovranno affrontare gli hedge è il deleverage. Da sempre i gestori hedge utilizzano la leva finanziaria per ‘spingere’ le proprie scommesse e amplificare i guadagni. Il livello utilizzato in passato è stato reso disponibile dall’elevata capacità di questi soggetti di reperire denaro a prestito da banche e prime brokers a fronte di margini di garanzia minimi. Ora indebitarsi è più difficile: per il rialzo del costo del denaro, per la scomparsa di alcuni importanti brokers (Lehman Brothers) e per la richiesta continua di riscatti da parte degli investitori. Scomporre posizioni costruite in leva su prodotti poco liquidi non è operazione da poco, e nella maggior parte dei casi si risolve con perdite colossali per il fondo che si vede costretto a vendere il portafoglio a qualche rivale a prezzi da saldo.
Regolamentazione
Il divieto di operare vendite allo scoperto è un primo segnale che qualcosa sta cambiando nel modo di far finanza. L’industria hedge, che negli anni è sempre sfuggita a qualsiasi forma di regolamentazione (se non minima), dovrà molto probabilmente cambiare registro nel futuro. Le autorità che regolano i mercati e l’opinione pubblica non sono così convinti che gli hedge non abbiano un ruolo in questa mega-crisi, e alla fine, gli accadimenti degli ultimi mesi verranno analizzati accuratamente e con loro il ruolo svolto dai fondi hedge.
Maggior regolamentazione significa una sola cosa per gli hedge: più trasparenza. Più trasparenza significa meno opportunità di investimento e perdita di un vantaggio competitivo che ha sempre caratterizzato gli hedge.
Gli hedge finiti?
L’industria hedge ha già attraversato e superato diverse crisi nella sua storia. La prima risale a metà degli anni settanta, quando le masse gestite dai primi 28 fondi hedge scesero del 70% in soli dodici mesi. Molti fondi vennero liquidatati e le masse residue dei fondi rimasti operativi era di soli 300 milioni di dollari.
Le notizie sull’industria calano fino a metà degli anni ottanta, fino a quando emergono nuovi personaggi sulla scena finanziaria di Wall Street. Due titani degli hedge come Julian Robertson e George Soros rubano la scena di quegli anni offrendo agli investitori (con successo) performance a doppia cifra che aiutano a creare il mito degli hedge come strumento che non conosce crisi. Il successo di questi fondi non rimane in sordina per molto, e altri gestori e responsabili di proprietary desk decidono di convertirsi al fenomeno hedge. Nei primi anni del 1990, il 60% dei fondi attivi era della categoria global macro.
Gli anni novanta non sono tutte rose e fiori per l’industria alternativa. Indimenticabile la sortita di Soros sulla sterlina britannica, il suo possibile coinvolgimento nella crisi asiatica del 1997 e poi arriva il 1998 con il fallimento del fondo Long Term Capital. Da allora, nonostante il contraccolpo mediatico del fallimento di LTCM, il settore hedge comincia la sua più lunga e prosperosa crescita che tocca un picco di oltre 10.000 fondi attivi per quasi 2 trilioni di dollari di masse gestite.