Dollaro alla prova non solo della Fed ma anche della BoJ e della Pobc

Il dollaro Usa ha messo a segno il rally più forte da oltre un anno, man mano che la narrativa delle banche centrali sulla necessità di mantenere i tassi più alti più a lungo ha preso piede sui mercati.

Se questo fenomeno si protrarrà nel tempo, aiuterà la Fed nella sua lotta all’inflazione rendendo le importazioni più convenienti in termini di valuta (dollaro). “Ma è un problema per altri”. Avverte Eva Sun-Wai, fund manager del team Public Fixed Interest di M&G Investments, che di seguito spiega le ragioni dell’affermazione.

Un tema caldo del 2023 è stata la forza del carry trade, prendere cioè in prestito valute a basso rendimento e a tassi di interesse modesti per investire in valute a rendimento più alto come il peso messicano (MXN) o il real brasiliano (BRL).

Questo contesto creato da un lato dalle banche centrali dei mercati emergenti che hanno generalmente aumentato i tassi prima dei mercati sviluppati (ampliando i differenziali di rendimento) e dall’altro dalla bassa volatilità dei tassi di cambio, ha visto le valute con carry più elevato registrare performance decisamente positive, con rendimenti totali del 28,36% per il peso messicano e del 18,27% per il real brasiliano. Anche se i differenziali dei tassi si sono ridotti per effetto dei rialzi aggressivi attuati dalle banche centrali dei Paesi sviluppati, la bassa volatilità dei tassi di cambio ha continuato a far salire il carry corretto per la volatilità.

Nelle ultime settimane, tuttavia, alcune di queste valute a più alto rendimento hanno subito una brusca inversione di tendenza rispetto al dollaro e allo yen, e in particolare il peso messicano è diventato costoso nelle valutazioni. Avendo osservato anche forti vendite delle obbligazioni messicane, ci troviamo di fronte a segni di cedimento nel trade delle valute più forti di quest’anno?

Per quanto riguarda quelle a basso rendimento, non solo queste valute si sono indebolite a causa del fatto che sono state prese in prestito nei carry trade dei mercati emergenti, ma le pressioni sul differenziale dei tassi hanno colpito duramente le valute le cui banche centrali hanno continuato l’allentamento monetario, in particolare lo yen giapponese (JPY) e il renminbi cinese (CNY).

Di conseguenza, anche le loro valutazioni sono diventate sempre meno interessanti rispetto alle loro controparti dei mercati sviluppati, come il dollaro USA.

Su una base ponderata per gli scambi, lo yen è ora ai minimi del secolo. La Bank of Japan (BOJ) è intervenuta quasi un anno fa nel tentativo di sostenere la valuta, insieme a un certo allentamento del controllo della curva dei rendimenti che era probabilmente mirato alla valuta, ma ora le valutazioni sono ancora più deboli.

Ci stiamo avvicinando al punto in cui le banche centrali giapponese e cinese potrebbero sentirsi costrette a intervenire?

All’inizio della scorsa settimana, il governatore della BOJ Ueda ha ventilato la possibilità di un cambiamento nella politica monetaria prima del previsto, forse nel tentativo di sostenere la valuta e scongiurare un intervento simile a quello dello scorso anno.

Tuttavia, il Giappone si trova di fronte a una scelta difficile tra il rischio che rendimenti più alti accelerino la pressione sul già enorme bilancio (con un rapporto debito/PIL del 250% e la banca centrale che detiene oltre la metà dei titoli di Stato in circolazione) e mantenere lo yen debole. A seguito di un parziale inasprimento del controllo della curva dei rendimenti a dicembre dello scorso anno e a luglio di quest’anno, i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni si sono avvicinati alla soglia dell’1%, ma la BOJ ha cercato di rallentare il ritmo attraverso operazioni di prestito piuttosto che incrementare l’ammontare degli acquisti di titoli, nel tentativo di minimizzare l’impatto sullo yen.

Anche la banca centrale cinese (PBOC) finora ha evitato di utilizzare le riserve, preferendo intervenire attraverso il fixing (dove viene utilizzato il fixing del tasso di riferimento giornaliero attorno al quale la valuta cinese scambia in un range del 2%). Può anche adottare altri strumenti, come i coefficienti di riserva in valuta estera o l’adeguamento dei requisiti di rischio delle banche sulle vendite a termine di valuta.

Se una o entrambe le banche centrali intervenissero attraverso le riserve valutarie, probabilmente con la vendita di titoli di Stato statunitensi, le prospettive per il dollaro non sarebbero chiare. La vendita di riserve di dollari USA per sostenere le due valute dovrebbe naturalmente indebolire il dollaro e rafforzare le seconde, ma ciò potrebbe anche esercitare una maggiore pressione sui rendimenti dei titoli di Stato americani, che aumenterebbero ulteriormente.

Dato che l’attuale forza del dollaro è merito dei tassi USA “più alti più a lungo”, ulteriori pressioni al rialzo sui rendimenti americani potrebbero in realtà accentuare la forza del dollaro. Pertanto, un intervento volto a stimolare lo yen e/o il renminbi potrebbe indebolire altre valute che sono frequentemente scambiate con il dollaro.

Se i differenziali dei tassi di cambio tornassero ad ampliarsi tra coppie di valute come USD/EUR o USD/GBP (che quest’anno sono state entrambe forti e sono molto scambiate) e se i mercati continuassero a posticipare le loro attese di un cambio di politica monetaria da parte della Fed, questo potrebbe portare, in modo contro intuitivo, a un ulteriore rafforzamento del dollaro.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!