Bush e Buffett, interventi a sostegno dell’economia!

 Da ex Banca di Investimento infatti, Goldman ha deciso, dopo l’autorizzazione da parte della Sec, la Consob americana, di aprire sportelli in giro per gli States, insieme a [s]Morgan Stanley[/s], a dimostrazione che le Banche sembrerebbero aver voglia di tornare a fare le Banche.

L’oracolo di Ohama, in una lunga intervista, avrebbe dichiarato che il suo intervento è dovuto al fatto che non crede che il piano della Fed e del Tesoro non verrà approvato domani dal Congresso e ha richiamato politici al loro dovere sostenendo che “l’America non può permettersi il lusso di aspettare qualche settimana per una decisione del genere, ma al massimo qualche giorno” perché la crisi ha rappresentato “la Pearl Harbour economica”.
Stanotte poi Bush, in un intervento televisivo, ha parlato alla nazione, mostrando tutta la propria preoccupazione per quello che sta accadendo. “Se il piano non verrà’ approvato” ha detto il Presidente “molte banche falliranno, il mercato azionario scenderà’ ancora di più’, milioni di americani perderanno il posto di lavoro, il prezzo della case continuerà’ a scendere, aumenteranno pignoramenti immobiliari e bancarotte aziendali, saranno spazzati via i risparmi per le pensioni, e andremo incontro a una lunga e dolorosa recessione”.  Più chiaro di così!

Sempre ieri Bernanke aveva dichiarato che l’Economia Usa, nella seconda parte del 2008 crescerà ben al di sotto del proprio potenziale, anche perché il rallentamento dell’economia globale dovuto alla crisi frenerà le esportazioni Usa, che nei primi tre mesi avevano trainato la crescita.
Ora, al di là di come si riuscirà a risolvere la questione del piano di salvataggio (il Congresso, in mano ai democratici, dovrebbe alla fine e nonostante gli emendamenti, votarlo), il problema resta quello di come finanziare la cifra che servirà a sostenere il piano. L’America, si sa, non è il Giappone, cioè non dispone di un risparmio domestico tale da potersi permettere di spendere una cifra del genere.


Ciò significa il concreto rischio che le principali istituzioni finanziarie americane, possano divenire di proprietà estera. Questo significa due cose: o all’estero mettono mano al portafoglio e comprano dollari per finanziare il piano americano, oppure, se così non fosse, il dollaro potrebbe essere lasciato al suo destino, con conseguenze difficili da immaginare per tutto il sistema globale.
L’unica considerazione che ci viene in mente quindi è che l’amministrazione Bush, caratterizzata da persistenti tagli alle tasse, ha portato ad un deficit pubblico che in questa situazione di grande crisi, è un macigno che pesa enormemente sul futuro.
Intanto nel vecchio continente continuano ad uscire dati negativi, con l’indice Ifo che ieri ha segnato ancora una volta il passo, a 92.9 contro 94.3 atteso.
L’incognita europea è derivante dal fatto che l’intero sistema sta pagando il rallentamento economico Usa e la forza persistente della moneta unica sta cominciando a produrre effetti insostenibili nel medio termine.
Occorre ora concentrarsi su ciò che potrebbe accadere al mercato valutario nei due casi di approvazione del piano di salvataggio Usa o fallimento.
Nel caso di approvazione, potremmo assistere ad un iniziale rafforzamento del dollaro, sostenuta dall’euforia generale che la soluzione alla crisi dei mutui subprime, sia stata trovata. Ma questi effetti potrebbero essere temporanei, e non sostenibili nel medio termine per le ragioni sopra riportate legate alla necessità di trovare i fondi per sostenerlo. Se il piano fallisse, la caduta del dollaro potrebbe essere significativa e inarrestabile, senza l’intervento delle Banche Centrali.
Pertanto, in questa fase, occorre attendere, la price action di breve ha mostrato nelle ultime ore una caduta della volatilità, un segnale positivo di stabilità di breve, che però è il preludio a qualcosa che succederà dopo, forse già domani.
L’EurUsd oscilla tra 1.4600 e 1.4850 mentre i carry trades, lo specchio dell’avversione al rischio, restano sostenuti dopo il recupero dei giorni scorsi, a dimostrazione che gli investitori cercano ancora rendimenti.

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