Il Brasile, l’ottavo più grande produttore di petrolio al mondo, potrebbe coprire metà dell’estrazione mondiale di greggio offshore entro il 2040. Qual è la relazione tra le quotazioni petrolifere, le azioni brasiliane e le politiche del Presidente Luiz Inácio Lula da Silva? Marcus Weyerer, Senior ETF Investment Strategist di Franklin Templeton ETFs EMEA e Dina Ting, Head of Global Index Portfolio Management di Franklin Templeton ETFs, spiegano di seguito il panorama economico del paese e le potenziali opportunità a un anno dall’ultima vittoria elettorale di Lula.
Un anno fa, poco dopo l’elezione di Luiz Inácio Lula da Silva (“Lula”) a prossimo presidente del Brasile, sostenevamo che vi fossero buoni motivi per essere ottimisti sulle azioni brasiliane, benché i mercati considerassero la prospettiva di politiche più di sinistra con una sana dose di scetticismo. “Lula è ben noto in Brasile” e ha ereditato “un’economia solida con un grande potenziale a lungo termine”, queste alcune delle conclusioni che tiravamo in questo articolo: Lula è di nuovo alla guida della XII economia mondiale: “Il Brasile è tornato”.
Su base annua, sia il FTSE Brazil 30/18 Capped Net Index che il FTSE Brazil Index hanno sovraperformato i mercati emergenti nel complesso di circa 11 punti percentuali, rispettivamente del 9,4% e del 10,3% contro l’1,7% di fine ottobre. Ciò è avvenuto nel contesto di una volatilità prevedibilmente significativa che ha visto le azioni brasiliane scivolare del 10% a metà marzo e risalire di quasi un quarto alla fine di luglio.
La banca centrale brasiliana ha iniziato a ridurre i tassi, in anticipo rispetto a molti mercati emergenti (ME) e praticamente a tutti i mercati sviluppati (MS), con il tasso di riferimento “Selic over” (il tasso sui fondi federali brasiliani) ora sceso al 12,75% dal 13,75%. Le previsioni di consenso prefigurano un taglio di ulteriori 100 punti base entro la fine dell’anno in corso. Prevediamo un ampio margine di manovra per il Banco Central do Brasil (BCB) nel 2024 se l’inflazione manterrà la sua traiettoria discendente e se gli effetti di alcuni eventi climatici, come El Niño, saranno contenuti. Il Brasile ha dato il via ad alcuni dei primi e più aggressivi rialzi dei tassi a livello globale, un approccio che ora comincia a dare i suoi frutti. Mentre l’inflazione, misurata dall’Indice dei prezzi al consumo (IPC), rimane al di sopra dell’obiettivo, le aspettative per il 2023 e il 2024 si attestano rispettivamente al 5,1% e al 4,0%. Si tratta di un risultato ben lontano dalle cifre quasi doppie registrate nel corso del 2022. La crescita dei prezzi alla produzione, spesso considerata un precursore dell’IPC, è diventata negativa su base annua dopo aver raggiunto il picco a circa il 35%.
Allo stesso tempo, il tasso di disoccupazione del paese ha raggiunto il minimo da nove anni,6 mentre la fiducia dei consumatori ha eclissato i livelli pre-pandemia ed è al punto più alto dal 2014.
Alla luce di tutto ciò, riteniamo che le azioni brasiliane siano sostanzialmente sottovalutate, con rapporti prezzo/utili degli ultimi 12 mesi (P/E LTM) nella fascia medio-alta dei valori a singola cifra, che rappresentano uno sconto sostanziale sia rispetto ai ME che ai MS. Sottolineiamo spesso i vantaggi della disaggregazione delle esposizioni ai ME, ad esempio attraverso exchange-traded fund (ETF) efficienti dal punto di vista dei costi e relativi a un singolo paese. Sempre più spesso le valutazioni divergenti e le considerazioni sul rischio sono alcuni dei fattori alla base di questo approccio degli investitori in evoluzione. Gli ETF relativi a un solo paese sono veicoli efficienti e a basso costo che gli investitori possono utilizzare per ottenere un’esposizione tattica o a lungo termine a decine di partecipazioni locali, in un’unica operazione.
Per quanto riguarda il rischio geopolitico
È probabile che le valutazioni brasiliane incorporino un certo rischio politico interno (soprattutto legato al debito), ma finora Lula si è attenuto all’approccio pragmatico che ci aspettavamo da lui e i timori del mercato relativi a possibili spese guidate dall’ideologia non si sono concretizzati. Inoltre, l’elevata esposizione alla Cina degli indici ME ampi significa probabilmente che tali indici includano già una componente di rischio geopolitico. Tuttavia, i loro P/E LTM sono attualmente quasi a 14, mentre il P/E del Brasile è più vicino a 6,5, il che implica uno “sconto Brasile” di circa il 53%. Questo sembra eccessivo, soprattutto con il prezzo del petrolio – un fattore chiave per l’economia brasiliana – che sta tornando a salire, sulla scia dei problemi geopolitici e delle crescenti speranze in un “atterraggio morbido”. Gli indici ME sono solitamente dominati dalla Cina e dall’India, entrambi tendenzialmente importatori netti di petrolio. Il Brasile, invece, non solo è un esportatore netto, ma è anche l’ottavo produttore mondiale e il più grande del Sud America. L’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede che entro il 2040 il paese coprirà circa la metà dell’estrazione mondiale di petrolio offshore. Il mercato del petrolio e del gas ha raccolto per molti anni la maggior parte degli investimenti nell’economia brasiliana, contribuendo per circa il 10% al prodotto interno lordo (PIL) del paese. Il settore energetico, sebbene concentrato in un paio di aziende e dominato da Petrobras, rappresenta circa un quinto del FTSE Brazil Index.10 In altre parole, mentre i consumi privati interni rimangono la spina dorsale dell’economia, con una quota del 60% circa del PIL, il petrolio ha il potenziale per fungere da freno o da turbo per il mercato azionario del Paese. Attualmente vediamo il petrolio in modalità turbo, ma le valutazioni azionarie si muovono con il freno tirato.
La nostra analisi indica che la pandemia COVID-19 ha interrotto la relazione tra i due mercati ma, in assenza di ragioni strutturali, riteniamo che questo disaccoppiamento possa essere temporaneo.
Nei calcoli che seguono abbiamo utilizzato la media semestrale dei futures sul petrolio Brent, spostata in avanti di sei mesi. Ad esempio, il dato di dicembre per il petrolio rappresenta il prezzo medio da gennaio a giugno dello stesso anno. Ciò corrisponde alla logica secondo cui a dicembre una parte degli effetti del prezzo del petrolio della prima metà dell’anno si riflette sugli utili degli ultimi 12 mesi, che costituiscono la base per il calcolo del premio/sconto. Ricordiamo che si mormorava che avesse in mente di nazionalizzare Petrobras, cosa che ha negato e per la quale, in effetti, non ha avviato alcuna iniziativa. Dal punto di vista politico e legale, un progetto del genere incontrerebbe ostacoli a dir poco enormi e sembra semplicemente irrealizzabile data l’attuale composizione del Congresso Nazionale del Brasile. Sembra quindi quanto meno improbabile che i timori legati al modello di proprietà del settore energetico possano incidere in modo significativo sulle valutazioni.
Da settembre 2009 ad agosto 2021 le azioni brasiliane hanno registrato un premio medio dell’11% rispetto ai mercati emergenti nel complesso. Quando il prezzo del petrolio era inferiore a 90 dollari il suo valore era leggermente più basso, tra il 6% e il 9%, senza alcuna correlazione osservabile. Superata quota 90 dollari, tuttavia, esso è cresciuto di pari passo con l’aumento del greggio: nella fascia di prezzi tra 90 e 109,99 dollari è stato in media del 14%, mentre per i prezzi superiori a 110 dollari ha superato il 20%.
Nel periodo campione che abbiamo analizzato, il petrolio ha registrato una media di 76 dollari USA pre-COVID, corrispondente al suddetto premio Brasile dell’11%. Dopo il COVID il petrolio si è attestato su una media di 85 dollari ma, invece di salire di pari passo, le azioni brasiliane sono mediamente più economiche del 53% rispetto ai loro omologhi dei mercati emergenti.
In uno scenario ipotetico di “a parità del resto”, questo implica un’enorme opportunità di repricing. Ovviamente il resto non è mai pari. Ciò è particolarmente vero all’indomani del COVID, della guerra in corso in Ucraina, delle tensioni tra Stati Uniti e Cina e del recente scoppio della guerra in Medio Oriente, che ha innescato il timore di un’escalation regionale o globale.
Tuttavia, con un mercato del lavoro forte, una solida fiducia dei consumatori e la prospettiva di ulteriori tagli dei tassi in seguito al calo dell’inflazione, riteniamo che il Brasile rappresenti un punto luminoso nei mercati azionari globali. Gli investitori che condividono la nostra analisi sulle prospettive a lungo termine della più grande economia dell’America Latina possono ora trovare un punto di ingresso interessante, forse con l’ulteriore possibilità di assistere a un riprezzamento delle valutazioni ai livelli pre-COVID rispetto al prezzo del petrolio.