L’aggressiva campagna di rialzi dei tassi della Fed, che ha portato il tasso dei fondi di riferimento al livello più alto degli ultimi 22 anni, è stata mirata a contenere l’inflazione in parte frenando anche la crescita dei salari Usa. Sebbene i dati salariali di marzo siano stati incoraggianti, la forza complessiva del rapporto sull’occupazione ha spinto gli analisti a ridimensionare ulteriormente le aspettative di taglio dei tassi.
Un mercato del lavoro forte, con salari reali in aumento, potrebbe significare che la Fed non inizierà a tagliare i tassi di interesse fino alla seconda metà del 2024. Le previsioni dot-plot della Fed di marzo prevedevano tre tagli dei tassi di un quarto di punto nel 2024. Ma il mercato sta probabilmente riprezzando solo uno o due tagli dei tassi quest’anno.
I trader valutano una probabilità del 97% che l’obiettivo dei fondi federali rimanga invariato al 5,25%-5,5% dopo la riunione del FOMC del 30 aprile – 1° maggio, secondo lo strumento FedWatch del CME. Lo strumento mostra una probabilità del 46% di un taglio di un quarto di punto dopo la riunione del FOMC dell’11 e 12 giugno, in calo rispetto al 59% di giovedì.
Un forte balzo dei rendimenti dei titoli del Tesoro ha sottolineato la diminuzione delle speranze degli investitori di un taglio dei tassi a giugno. Il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni ha chiuso due settimane fa intorno al 4,20%, ma la scorsa settimana è salito di circa 20 punti base, toccando il livello più alto dalla fine di novembre.
Gli investitori ora stanno spostando l’attenzione sugli aggiornamenti sull’inflazione (CPI) che verranno pubblicati domani, mentre giovedì sarà la volta dell’indice dei prezzi alla produzione (PPI) di marzo. Due indicatori fondamentale per cercare di valutare le mosse future della Fed. In particolare occorrerà capire se i dati inaspettatamente forti di CPI e PPI di gennaio e febbraio siano stati un temporaneo rallentamento o invece l’inizio di un aumento delle pressioni sui prezzi che potrebbe tenere la Fed da parte nei prossimi mesi.
Secondo le stime degli analisti, l’indice dei prezzi al consumo complessivo dovrebbe essere aumentato dello 0,3% a marzo rispetto a febbraio. Ciò segnerebbe un rallentamento rispetto al balzo dello 0,4% di febbraio. Anche l’indice dei prezzi al consumo core, che esclude i prezzi dei prodotti alimentari ed energetici, è previsto in aumento dello 0,3% mese su mese a marzo, in calo rispetto allo 0,4% di febbraio. Sempre domani sono attesi i verbali del meeting di marzo.
Se CPI e PPI di marco diventano importanti e strategici, significa che i due rapporti potrebbero essere più influenti del solito per i mercati, dopo che Powell ha suggerito che i rapporti di gennaio e febbraio, più caldi del previsto, potrebbero aver rispecchiato colpi di scena stagionali. L’inflazione ha rallentato considerevolmente nel quarto trimestre, ma le buone notizie si sono per lo più arrestate all’inizio del primo trimestre di quest’anno. Se i rapporti di marzo non mostrassero almeno un qualche progresso, la cosa potrebbe sollevare qualche perplessità tra i membri del FOMC.
Crediamo quindi che gli investitori debbano guardare alla volatilità. Giovedì scorso questa è inizialmente scesa, salvo aumentare nel tardo pomeriggio quando il VIX ha superato quota 16 con una salita del 14% in un solo giorno. Venerdì scorso la chiusura del VIX è stata la più alta del 2024 e dal 1° novembre.
Il VIX è rimasto in letargo per gran parte del primo trimestre prima di svegliarsi questo mese e il suo recente rialzo riflette innanzitutto l’incertezza geopolitica e poi quella dei tassi. Crediamo che per gran parte della settimana la volatilità possa farla da padrone.
A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim