Le tensioni nel Mar Rosso e i mercati finanziari

Di seguito pubblichiamo un’analisi di Maurizio Malvasi (nella foto), fund analyst di Hedge Invest

 

Se escludiamo la forte influenza delle decisioni delle banche centrali, è chiaro che l’attuale assetto dei mercati è fortemente influenzato da altri fattori centrali. I temi legati all’assetto geopolitico attuale sono molteplici e complessi, riflettendo la possibilità di sviluppo di diversi scenari.

Durante il 2024, l’assetto politico di decine di paesi è destinato a cambiare a causa delle elezioni. Abbiamo già assistito alle delicate elezioni a Taiwan il 13 gennaio, seguite dalle elezioni in corso in India fino al 1° giugno, quelle per il Parlamento europeo, le tanto discusse elezioni presidenziali negli Stati Uniti, oltre a quelle nel Regno Unito e in Israele alla fine dell’anno.

Sul fronte dei conflitti in corso, la figura di Vladimir Putin è stata al centro delle discussioni a seguito della sua rielezione al Cremlino e della tragica fine del suo oppositore politico Alexei Navalny, segnando un ulteriore rafforzamento del controllo sull’espressione e la comunicazione, e quindi di un regime potenzialmente più pericoloso. I prossimi cambiamenti alla Casa Bianca saranno fondamentali per delineare le risposte degli Stati Uniti, specialmente considerando che gli aiuti combinati dell’Europa sono pari a quelli forniti a Kiev da Washington. Dopo due anni di conflitto, il mondo continua a interrogarsi sul futuro di questa situazione, con la Russia che attende una resa e l’Ucraina che non sembra intenzionata a cedere, mentre la situazione in Medio Oriente preoccupa i mercati e gli investitori.

L’impatto umanitario, dall’inizio delle tensioni è stato disastroso.

Eventi chiave per il commercio però, si sono verificati all’insorgere degli attacchi degli Houthi dello Yemen, nel Mar Rosso, contro rotte commerciali vitali per il commercio globale, quindi a carico di Israele e non solo. Nonostante l’assoluta importanza di queste rotte, la loro sicurezza continua a essere minata severamente, anche a distanza di mesi dall’inizio delle tensioni, senza segnali di miglioramento. Ciò che desta altrettanta preoccupazione, è la debole risposta politica comune e unita.

Dal momento in cui hanno avuto inizio le tensioni nel Medio Oriente, la maggior parte delle navi portacontainer ha cambiato rotta, evitando il Mar Rosso e il Canale di Suez per adottare l’itinerario più lungo (e costoso) intorno al Capo di Buona Speranza. Il transito di navi cargo, petroliere e metaniere attraverso gli stretti di Bab el-Mandeb e di Suez è diminuito significativamente rispetto ai livelli precrisi, registrando rispettivamente un calo del 70% e del 50%. Questa modifica ha influito significativamente sui rivenditori statunitensi, specialmente nei settori strutturalmente caratterizzati dalle cosiddette JIT inventories, compromettendo gli scambi con i loro mercati europei. A tal proposito, si sono verificati ritardi fino a due settimane rispetto alla normale durata del viaggio, che è di solito di 35 giorni, creando lunghi intervalli tra gli arrivi delle navi nei porti europei. Inoltre, la siccità nel Canale di Panama e il recentissimo crollo del ponte a Baltimora hanno ulteriormente disturbato le regolari catene di approvvigionamento globali.

I retailers hanno reagito in maniera varia, ma hanno complessivamente tratto insegnamenti dalle difficoltà recenti della catena di approvvigionamento durante la pandemia e hanno accresciuto leggermente le riserve di magazzino, o riducendo la dipendenza da strategie di supply chain canoniche e poco adattive. Per Adidas e Abercrombie & Fitch, questi approcci dinamici hanno aiutato a ridurre la possibilità di andare incontro a massive cancellazioni di ordini. Altre società hanno aggiornato le guidance, incorporando costi maggiori e mancati guadagni. Un grande numero di consumer chains ha escluso (o ridotto) la propria esposizione commerciale in Medio Oriente, come Samsung e McDonald’s: Starbucks, presa di mira nei suoi store da attivisti, ha tagliato 2000 dipendenti, in seguito a dati sul fatturato in decrescita QoQ.

Se alcuni comparti commerciali dell’economia globale hanno mostrato maggiore resilienza verso tale situazione, chi grazie a tassi di crescita e utili più stabili, chi perché strutturalmente protetto, il settore automobilistico vi è stato da subito esposto. La notizia della chiusura temporanea dell’unico stabilimento europeo di Tesla, la Gigafactory di Berlino, è stato un evento indicativo per il mercato. Anche Suzuki e Volvo hanno sospeso le attività in Europa tra gennaio e febbraio.

L’attenzione degli investitori dopo l’inizio delle tensioni tra Israele e Hamas, e dopo gli attacchi degli Houthi, si è rivolta al vasto mercato delle commodities. Più del 10% delle spedizioni di greggio globali passano attraverso il Canale di Suez: il Brent però, dopo un contenuto periodo di volatilità, ha ritracciato, per poi riprezzarsi. In questi giorni, il petrolio continua ad apprezzarsi contemporaneamente a dati positivi sulla Cina, di cui il mercato valuta crescita e consumi futuri.

Mentre l’oro guarda con ottimismo a tagli dei tassi vicini da parte della Fed, anche i metalli industriali sono monitorati a stretto giro dagli investitori. Il mercato del rame, infatti, ha risentito negli ultimi mesi del conflitto russo-ucraino (assieme a quello delle soft commodities come il grano), e subisce le aspettative della Cina in crescita e di una maggiore produzione di auto elettriche, oltre che grande attenzione per il suo ruolo centrale nella lenta ma indispensabile transizione ecologica.

 

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