Ma la liberalizzazione deve proseguire

Il summit di Parigi dei capi di Stato e di governo di Francia, Regno Unito, Germania e Italia non ha prodotto un piano euro-Paulson, ma più modestamente un annuncio generico che sarà fatto tutto ciò che serve per tutelare i risparmiatori europei. Quello della politica è un pronunciamento importante, forse necessario.
Eppure l’annuncio di interventi a favore del settore bancario non sta incontrando il favore di molti cittadini italiani. Forse c’è una percezione erronea della portata della crisi in corso. Oppure prevale la facile identificazione delle cause della crisi stessa nell’ingordigia degli operatori della finanza: chi non ricorda Gordon Gekko alias Michael Douglas nel film Wall Street di Oliver Stone e la sua celebre battuta “Greed is good”, cioè l’ingordigia è una buona cosa? Ma forse l’avversione al salvataggio delle banche ha una spiegazione più semplice: prima del diluvio in corso, i risparmiatori, soprattutto quelli italiani, non vivevano nel migliore dei mondi possibili.

QUALCHE DATO SU BANCHE, FAMIGLIE E IMPRESE
La Commissione Europea e la Banca d’Italia forniscono dati comparati sulla relazione tra banche, famiglie e imprese, relativi al 2006 e 2007. Emerge che le famiglie italiane pagano interessi passivi più alti (+1,2 punti percentuali sul credito al consumo rispetto alla media dell’area euro; +0,7 punti per i mutui) e sono soggette a costi di gestione dei conti correnti nettamente più alti che nella maggior parte d’Europa. Tenere un conto corrente costa 182 euro in Italia, 161 in Germania, 100 in Francia, 40 nel Regno Unito e 34 in Olanda. E le imprese italiane non se la passano meglio delle famiglie, dato che si trovano a pagare interessi passivi più elevati della media area euro (+0,5 punti percentuali sui prestiti a tasso fisso e sui conti correnti). Il divario si allarga per le imprese del Sud che pagano tassi sui prestiti più alti di 1,3 punti percentuali rispetto alle imprese del Centro-Nord.
È anche per l’elevato costo del credito bancario che la quota del retail banking è relativamente bassa in Italia rispetto agli altri paesi (2 per cento del Pil, contro il 4,2 per cento nel Regno Unito, il 3,3 per cento in Spagna, il 2,5 per cento in Francia; un po’ più alto che in Germania in cui si arriva solo all’1,7 per cento). La legge della domanda dice che se il prezzo di un servizio è alto, ne faccio un minor uso. E così fanno gli italiani con i costosi servizi bancari.

POCA CONCORRENZA NEL SETTORE BANCARIO

Perché il credito bancario costa così caro a famiglie e imprese in Italia? L’Abi (la Confindustria delle banche) ricorda che i prezzi alla clientela sono alti perché i costi dell’attività bancaria sono particolarmente elevati nel nostro paese. Il costo di gestione del contante è più elevato che all’estero perché il mercato del trasporto del contante è su base provinciale, dunque particolarmente frammentato. Inoltre esistono rilevanti inefficienze nella distribuzione territoriale degli sportelli. Ci sono poi i soliti costi “di sistema”. La giustizia è lenta nel risolvere i contenziosi e questo si scarica su costi operativi più elevati per le banche. E, infine, la madre di tutti costi di sistema, la sicurezza: il 50 per cento delle rapine in banca di tutta Europa avviene in Italia. Tutto vero. Ma i risultati di vari studi condotti dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca d’Italia riscontrano che i prezzi dei servizi bancari rimangono alti essenzialmente perché il settore presenta inefficienze di costo comprese tra il 13 e il 20 per cento del totale. È facile comprendere che le inefficienze non vengono eliminate quando c’è poca concorrenza in un settore. E infatti, come ricordava l’Indagine conoscitiva preparata dall’Autorità per la concorrenza nel 2007: “il mercato dei servizi bancari si caratterizza per l’esistenza di un deficit informativo a sfavore della clientela, di numerosi ostacoli alla mobilità di quest’ultima, di un frequente ricorso a forme leganti più servizi”.

DUE PROPOSTE PER IL FUTURO

Per affrontare questi problemi, c’è una sola cosa da fare: proseguire con la liberalizzazione del settore bancario. Da un lato, occorre continuare a favorire la concorrenza anche facilitando l’ingresso di banche straniere che di solito apportano maggiore efficienza operativa. Con Mario Draghi governatore, la presenza di banche straniere si è molto accresciuta in ogni comparto dell’attività bancaria e ciò ha portato per ora solo a una piccola riduzione dei tassi medi, di circa 18 punti base. Dall’altro lato, per accrescere la comparabilità delle condizioni offerte da banche diverse, sarebbe bene rendere più incisiva l’operazione Patti Chiari imponendo alle banche di offrire alcuni contratti standard (quali ad esempio, a canone, a consumo, e un contratto standard per un conto corrente accessorio), mantenendo naturalmente alle stesse la facoltà di ampliare l’offerta di altre tipologie contrattuali. (1)
Un (piccolo) libro dei sogni, nell’attuale congiuntura? Forse. Ma si tratta di misure più efficaci nel ridurre il potere dei banchieri rispetto alla Robin Tax del ministro Tremonti. Di sicuro, salvare le banche in difficoltà oggi non è abbastanza. Èsolo riportando nell’agenda politica la liberalizzazione del settore bancario che sarà possibile restituire alle famiglie e alle imprese una parte dei potenziali benefici del salvataggio.

(1) Una descrizione più dettagliata di queste proposte è nel contributo di Francesco Daveri e Mario Menegatti al Rapporto del Cermes – Università Bocconi “Osservatorio sulle liberalizzazioni” scaricabile in forma sintetica al sito di FederDistribuzione: www.federdistribuzione.it.

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